Le elezioni presidenziali iraniane si sono svolte il 14 di Giugno scorso. Il risultato ha sorpreso i più, vista l’evoluzione che lo scenario politico del Paese aveva seguito negli ultimi anni. Hoyatolleslam Rouhani, un membro del clero sciita di posizioni riformiste, ha riportato una schiacciante vittoria al primo turno, surclassando il secondo arrivato: il sindaco di Teheran Mohammad Bagher Ghalibaf, tra i favoriti prima della tornata elettorale.
Il 2009, anno delle precedenti elezioni presidenziali, vide la contestata e controversa riconferma della Presidenza Ahmadinejad ai danni del candidato Mir-Hossein Moussavi: leader del Movimento della c.d. “Onda Verde”, poi represso dalle forze armate. Potrebbe essere interessante una breve ricostruzione dell’ultima Presidenza, che ha visto cambiare gli assetti di potere all’interno della Repubblica islamica. Infatti, nel 2005, la prima vittoria di Mahmud Ahmadinejad era intervenuta ai danni di un fronte riformista rappresentato da Rafsanjani. Un successo conservatore che ha posto le basi al successivo processo di accentramento del potere intorno alla Guida ed al clero sciita, garantiti da un patto costituzionale con le classi militari, composte dai pasdaran e dai corpi di polizia interna dei basiji. Dopo il 2009 le cose sono cambiate radicalmente. Ahmadinejad ha impresso una svolta nazionalista alla sua seconda Presidenza, che lo ha posto in conflitto sempre più aperto con il clero sciita, con la Guida stessa ed i pasdaran ad essi allineati. Il tessuto sociale iraniano, stando almeno all’epoca contemporanea, vede tre classi principali influire in via determinante sulle sorti degli equilibri politici del Paese: i Mercanti, il Clero e i Militari. In virtù di questo la svolta di Ahmadinejad, che ha adottato nell’ultima sua Presidenza una retorica persiana implicitamente avversa a quella islamica delle strutture sciite al vertice, sembrava poter svelare interessanti effetti. In perticolare, il potere politico del Presidente uscente sembrava riscontrare un appoggio consistente, per quanto non maggioritario, anche presso le forze armate iraniane: da ex-membro dei pasdaran, che tra le fila di questo corpo armato aveva vissuto le fasi della Rivoluzione del ’79 prima di darsi all’insegnamento e, in seguito, alla politica. Di conseguenza, lo schieramento politico intorno ad Ahmadinejad pareva disporre di una certa credibilità, in qualità di soggetto di riferimento per un eventuale e progressivo superamento della Repubblica islamica. Il velayat-e faghih iraniano, infatti, si compone di un sistema di organi ed istituzioni che, per quanto richiamati ai criteri repubblicani ed alla rappresentatività delle strutture di governo, dall’altra parte riscontra l’esistenza di una burocrazia islamica, che controlla la Magistratura e settori importanti della politica. Sin dalla nascita della Repubblica islamica, il potere è stato gestito in maniera decisamente accentrata dalla Guida, che ha garantito gli appannaggi del clero e delle forze armate ad esso vicine. La morte di Khomeini, e l’ascesa al velayat dell’attuale Guida Suprema Khamenei, non ha cambiato questo modello di gestione politica accentrata. Importa però ricordare, per completezza dell’analisi, che la Costituzione iraniana prevede dei sistemi di riequilibrio del potere in mano al clero: stabilendo l’elettività dei membri dell’Assemblea degli Esperti, che a loro volta nominano la Guida al vertice. Inoltre, lo stesso testo costituzionale annovera la possibilità che ad occupare il vertice dello Stato non sia una Guida, ma un consiglio di tre o cinque giureconsulti sciiti, designati dallo stesso organo incaricato di eleggere la Guida. La Costituzione iraniana, poi, disciplina l’eventualità che la stessa Assemblea degli Esperti deponga il Vali-e Faghih – la Guida Suprema: allorché il titolare della carica non rispetti più i requisiti necessari al suo esercizio, stabiliti dal testo costituzionale stesso ed interpretati, dagli Esperti, secondo dottrina sciita e la scuola duodecimana religione di Stato. […]