Giovedì 21 luglio, alla Camera dei Deputati, si è svolto un convegno sul tema “Democrazia a sorte”, da me organizzato. Sgombriamo subito il campo da un equivoco e dalle facili strumentalizzazioni: le ragioni che mi hanno spinto a organizzare questo dibattito non sono state la formulazione di una proposta di legge che prevedesse il sorteggio dei parlamentari per la prossima legislatura, o magari del prossimo governo. Non era questo l’intento mio né del Movimento 5 stelle, formazione politica con la quale sono stato eletto in Parlamento. Si è trattato, piuttosto, di curiosità nata da alcune letture capitate un po’ per caso, appunto, da un incontro fortuito con un argomento per me del tutto nuovo e inesplorato.
Il primo testo è stato di un docente fiammingo, Van Reybrouck, un intellettuale eclettico autore di Contro le elezioni. Perché votare non è più democratico, dal titolo forte e di sicuro impatto. Sono passato poi a un intellettuale francese, docente di Scienze politiche all’università Parigi 8, Yves Sintomer, con il suo Potere al popolo. Giurie cittadine, sorteggio e democrazia partecipativa. A quel punto però ero in astinenza di letture di autori italiani; così spulciando un po’ nelle bibliografie, ho scoperto che in Italia è stato scritto ben poco; mi sono imbattuto però nel testo di cinque universitari catanesi, Cesare Garofano, Alessandro Pluchino, Andrea Rapisarda, Salvatore Spagano e Maurizio Caserta, che si occupano rispettivamente di Sociologia, fisica teorica, metodi e modelli matematici, economia politica. I 5 docenti hanno addirittura elaborato un modello matematico che hanno ben spiegato nel volume Democrazia a sorte, ovvero la sorte della democrazia, del quale hanno ben relazionato nel convegno di luglio.
Che cos’hanno in comune tutti questi testi? Due elementi sostanzialmente. Il primo, sul quale si è scritto molto e che rappresenta il punto di partenza dei tre lavori: la crisi della democrazia rappresentativa, che poi è anche crisi del sistema della rappresentanza e di quello dei partiti. Una crisi diffusa in tutti i paesi con consolidati regimi democratici ed elettivi. La disaffezione alla politica regna sovrana. Se ci limitiamo ad osservare in giro per il mondo le percentuali di partecipazione alle elezioni o i tassi di fiducia nella classe politica, sembra di assistere a una sorta di “stanchezza democratica”. Scrive a tal proposito Van Reybrouck: “i sintomi di cui soffre la democrazia occidentale sono numerosi quanto vaghi, ma se si contrappongono astensionismo, instabilità elettorale, emorragia dai partiti, impotenza amministrativa, paralisi politica, paura della sconfitta elettorale, penuria di posti di lavoro, bisogno compulsivo di farsi notare, febbre elettorale cronica, stress mediatico estenuante, sospetto, indifferenza e altri mali tenaci, vediamo delinearsi i contorni di una sindrome, la sindrome di stanchezza democratica, una malattia che non è ancora stata studiata sistematicamente, ma di cui indubbiamente soffrono varie democrazie occidentali” […]