L’ultima crisi governativa si è rivelata particolarmente complicata e farraginosa per via dei risultati delle elezioni, svoltesi poco dopo l’apertura della crisi, complici naturalmente i congegni elettorali. Non era mai successo, in effetti, che dalle urne emergessero tre forze politiche di consistenza pressoché uguale, intorno al 30% ciascuna, irriducibilmente antagoniste fra loro, più una quarta forza di circa il 10%, disponibile ad alleanze, ma insufficiente a formare maggioranza con una sola delle altre tre. E’ appena il caso di aggiungere che le forze principali sono, nell’ordine, il PD, il PDL e il Movimento 5 stelle, mentre la quarta è la Lista civica del Presidente del Consiglio dimissionario Monti. E’ invece indispensabile precisare, prima di entrare nel merito del nostro tema, che a differenza delle altre forze – le quali si limitano ad aspirare al Governo, lasciando gli avversari all’opposizione, nel rispetto formale e sostanziale del sistema partitico che si riflette in Parlamento – il Movimento 5 stelle aspira a ben altro: aspira cioè a travolgere quel sistema partitico ed a sostituirlo con uno nuovo in cui – se ho ben capito, ma ai fini del mio discorso poco importa se ho capito bene o no – non abbia concorrenti effettivi. Ora, se quest’ultima sarebbe, ovviamente, una vera e propria aberrazione dal punto di vista della democrazia alla quale la nostra Costituzione ci àncora – quando dice che l’Italia è una Repubblica “democratica”, dove la stessa sovranità popolare viene circoscritta dalla Costituzione – è invece del tutto plausibile il percorso suggerito dal Movimento in questione per uscire dall’empasse nel quale l’antico e irriducibile antagonismo fra i partiti ci costringe, adesso, a proposito della formazione del nuovo Governo: l’abbattimento cioè dell’attuale sistema partitico.
A questo punto si rende tuttavia opportuno un rapido excursus su accadimenti precedenti. Nel novembre 2011, il IV° Governo Berlusconi – formatosi in seguito alle elezioni del 2008 e dotato di un’ampia maggioranza parlamentare- si dimette all’infuori di un voto di sfiducia (ma sotto la spinta dei mercati finanziari e dei partners europei), venendo sostituito, per iniziativa del CDS, dal Governo “tecnico” guidato dal prof. Monti, in cui non vi sono Ministri designati dai partiti. Questo Governo “tecnico” raccoglie in Parlamento il consenso di una maggioranza di entità tanto eccezionale quanto “strana” – come la definisce lo stesso Presidente del Consiglio – per la sua composizione nella quale infatti confluiscono i due maggiori antagonisti di questa legislatura (e delle precedenti): il PDL alleato con la Lega Nord su cui poggiava il IV° Governo Berlusconi, ed il PD alleato con SEL, strenuo oppositore di quel Governo. Il Governo “tecnico”, e la sua “strana” maggioranza, avrebbero dovuto, secondo il progetto originario, portare la legislatura alla scadenza naturale (fine primavera 2013) e nel frattempo adottare tutti i provvedimenti necessari al recupero di quella credibilità finanziaria che nel novembre 2011 era sul punto di crollare. Sia pure con difficoltà e malumori in seno alla “strana” maggioranza – ma forse più nel PDL che nel PD – il Governo Monti ha potuto adempiere in buona misura ai suoi compiti. E con ogni probabilità sarebbe potuto arrivare al termine della legislatura se, inopinatamente, l’8 dicembre 2012, il PDL non avesse annunciato in Parlamento il ritiro della fiducia a Monti, al fine di ottenerne le dimissioni e di provocare lo scioglimento anticipato delle Camere da parte del CDS; il quale curiosamente – e qui il vecchio Presidente Pertini si sarà rivoltato nella tomba! – non ha neppure ritenuto opportuno rinviarlo alle Camere per un dibattito sulle dimissioni, finalizzato a puntualizzare le responsabilità. Cosicché si è arrivati ad elezioni pressoché immediate, con le quali il Cavaliere – che frattanto aveva superato le incertezze a lungo coltivate riguardo al suo riproporsi alle elezioni per la sesta volta come leader del centrodestra, annunciando che si sarebbe ripresentato – contava di riuscire a rimontare lo svantaggio che tutti i sondaggi diagnosticavano. Mossa alla quale tutto il resto è seguito come da copione, salvo il fatto che il Presidente del Consiglio dimissionario è sceso (o salito) in campo per partecipare direttamente, con una sua lista centrista, alle elezioni. […]