La materia oggetto del biodiritto1 si presta a tendere, fino all’estenuazione, le principali cinghie di tenuta del sistema giuridico, facendo emergere, di questo, contraddizioni e fragilità. Si tratta, per lo più, di problematicità risalenti, forse strutturali, che, all’oggi, si caricano, però, di una tale “novità problematica” da rendere particolarmente ardua, per organi ed apparati (di livello statale, infra-statale ed ultra-statale), l’individuazione di soluzioni adeguate, in tempi coerenti con il rapido mutarsi degli eventi. Fatalmente, la velocità esponenziale del progredire di scienza e tecnologia rende improbabile il normare in tempo utile e rapida, invece, l’obsolescenza della regola che pure intervenisse senza ritardi. Il biodiritto viene a trovarsi, infatti, «di fronte ad una trasformazione dell’oggetto stesso dell’attività giuridica, la vita, forse addirittura ad un salto antropologico».
Non, dunque, la «permanente tensione tra la regola giuridica e il mutamento sociale, economico, culturale» 2 , che pur legittima ed impone il costante rinnovarsi dell’ordinamento giuridico, bensì la radicale riformulazione dell’idea che l’umanità, in questo momento della sua storia evolutiva, intende assumere di sé e rimettere ai posteri. È per tale ragione – la cui “enormità” difficilmente può rendersi appieno con i termini propri del linguaggio giuridico ed, invero, di qualsiasi linguaggio disciplinare, poiché solo lo “stupore” è atto a rappresentarla – che il biodiritto diventa osservatorio privilegiato della metamorfosi che i sistemi giuridici vanno attraversando, nel compimento dell’opera definitoria e regolamentatrice di così nuovi fenomeni dell’umano. Coglie bene il punto chi ravvisa nel «mutamento del paradigma giuridico» la conseguenza «dell’avanzamento delle […]