L’ordinamento giuridico italiano, nell’immediato dopoguerra, esprime il rinnovamento della legalità e dei principi costituzionali nel referendum del 2 giugno 1946 che, per la prima volta, demanda al popolo la scelta istituzionale. Vi si afferma una nuova legalità, sia nella partecipazione popolare alle scelte istituzionali, sia nell’essere questo referendum la prima fonte di diritto della nuova Repubblica, che vincolerà l’Assemblea costituente a quel modello costituzionale prescelto, senza potersene discostare; ma vi si intravedono anche i fermenti di una nuova Costituzione materiale (pur in assenza di quella scritta), intesa come insieme dei principi e dei fini pubblici essenziali perseguiti dalle forze politiche dominanti, nell’ambito di un’unità politica organizzata. Il concetto di legalità presuppone quello di libertà, in quanto garantisce l’insieme delle regole che ne assicurano il rispetto; è traduzione nell’ordine politico, cioè pratico, dell’idea morale di libertà; l’obbedienza alle leggi propria dello spirito del giurista (non come formalismo statico ma corrispondente al significato sostanziale del concetto di legalità) ed il sentimento di giustizia trovano la loro sintesi nello Stato legalitario, che vede la collettività partecipe del processo di formazione delle leggi ed il politico dotato di strumenti predisposti dalle norme costituzionali per operare quei cambiamenti necessari al mutamento degli interessi comuni, per adattare continuamente la legalità alla giustizia, senza ricorrere alla rivoluzione.
Per altro verso la legalità non deve tramutarsi in onnipotenza della legge e supremazia dell’organo a ciò demandato; in proposito si è osservato che la tradizione liberale italiana dimostra come un’eccessiva focalizzazione sul parlamentarismo (quale ebbero Giolitti e Cavour) rischia di svuotare di significato il liberalismo ed i fermenti che lo hanno animato.1 Nello Stato legalitario il riconoscimento dei diritti di libertà implica la tutela dei cittadini da parte dello Stato medesimo, non soltanto rispetto agli altri concittadini o alle istituzioni, ma anche “contro le sue stesse leggi”, in quanto limite interno alla funzione legislativa; dunque, anche l’autorità deve essere sottoposta alla legge (art. 54 Cost.), secondo criteri di autolimitazione determinati dalla dialettica democratica (concordia discors),2 dalla separazione dei poteri e dalla disciplina delle forme costituzionali.3 […]