“The makers of our Constitution undertook to secure conditions favorable to the pursuit of happiness. They recognized the significance of man’s spiritual nature, of his feelings, and of his intellect. They knew that only a part of the pain, pleasure and satisfactions of life are to be found in material things. They sought to protect Americans in their beliefs, their thoughts, their emotions and their sensations. They conferred, as against the Government, the right to be let alone, the most comprehensive of rights, and the right most valued by civilized men”1.
Con queste parole il giudice Brandeis, nel lontano 1928, forniva quella che viene ritenuta la prima definizione giuridica di diritto alla privacy, racchiusa nella locuzione “right to be let alone”. In tal modo, il Justice statunitense sosteneva l’esistenza di un diritto inalienabile e costituzionalmente protetto del cittadino, al riparo dalle ingerenze statali, volto alla realizzazione della propria personalità e al perseguimento di quella felicità sancita nella Dichiarazione di Indipendenza del 1776. Quasi un secolo dopo, il 24 agosto 2017, la Suprema Corte indiana ha per la prima volta riconosciuto la portata costituzionale del diritto alla privacy, rendendo così una pronuncia storica.
La vicenda trae origine dal ricorso presentato per contestare la legittimità del cosiddetto sistema “Aadhaar” istituito in India nel gennaio 2009. Si tratta sostanzialmente di un sistema di identificazione cui sono sottoposti alcuni cittadini indiani: a ciascun residente viene associato un numero di dodici cifre (UID) basato sulle […]