Non vorrei avere preso troppo sul serio la richiesta di contribuire alla riflessione del Convegno sui giuristi della Sapienza e la Costituente con un intervento dal titolo così impegnativo come “Ripensare la Costituente”. Del resto nel contesto di riflessioni di autorevoli giuristi e studiosi di storia del diritto cosa di diverso si poteva chiedere ad un modesto storico della politica, se non di ragionare oltre il tema delle tecnicalità che si erano presentate nell’ambito della prima e sinora unica assemblea a cui è stato affidato il compito di scrivere la Carta fondamentale della repubblica italiana? Si può dunque partire ponendosi il tema di cosa dobbiamo intendere con il termine “costituente”. Non è difficile oggi concordare sul fatto che esso non può essere riferito semplicemente al lavoro della Assemblea Costituente propriamente detta, senza estendersi al contesto in cui essa operò, se vogliamo davvero capire come sia stato strutturato il nostro sistema costituzionale, che è qualcosa di più complesso di quanto semplicemente registrato nelle norme della Carta fondamentale.
Se muoviamo da quest’ottica si comprenderà più facilmente cosa possa significare ripensare la Costituente: intendere sia quale possa essere davvero considerata la costituzione in senso materiale (per riprendere il famoso concetto elaborato da Mortati: cioè cosa sia il nucleo portante e che ne determina e organizza l’interpretazione) sia quali possano essere le radici delle problematiche che essa ha affrontato e che oggi affronta il sistema costituzionale nato dal combinarsi del disegno espresso nella Carta con la vita delle sue istituzioni e della comunità politica a cui ha dato forma. Il primo dato su cui mi permetto di richiamare l’attenzione è il fatto che la Carta del 1948 è un documento bifronte: ottimista su un versante, pessimista e preoccupato sull’altro. Non che questa sia una caratteristica anomala: molte costituzioni uniscono un impegno a […]