Chiara Spiniello, Recensione a L. Brunetti, Autodichia parlamentare. La giustizia domestica delle Camere nello stato costituzionale di diritto, Milano, EduCatt, 2016, pp. 283

«Era necessario che il senato prendesse parte al potere giudiziario […]. Allorché i Gracchi privarono i senatori del potere giudiziario, il senato non poté più resistere al popolo. Essi colpirono dunque la libertà della costituzione per favorire la libertà del cittadino; ma questa si perdette con quella.» È con un immortale passo De l’Esprit de lois di Montesquieu che si apre il volume di Leonardo Brunetti, Autodichia parlamentate. La giustizia domestica delle Camere nello Stato costituzionale di diritto (EDUCatt, 2016). E non è casuale che ad introdurre la trattazione relativa alla potestà di autogiurisdizione degli organi costituzionali – e precipuamente di quella dei due rami del Parlamento – sia proprio un verso dell’Autore che massimamente si è interessato all’indagine dei rapporti intercorrenti tra i sommi organismi dello Stato, tanto da svilupparne un principio regolatore: quello della separazione dei poteri. Tutt’altro che anacronistico, il tema della c.d. giustizia domestica – e, dunque, della particolare «prerogativa degli organi costituzionali di risolvere al proprio interno le controversie riguardanti l’esercizio delle proprie funzioni» (p. 18) – continua, oggi, ad essere oggetto di riflessione e giudizio critico. Se per un verso, infatti, è pacificamente accettato che la natura delle summenzionate Istituzioni sia tale da esigere che l’ordinamento garantisca loro una assoluta e reciproca indipendenza funzionale, la quale verrebbe ad essere violata in presenza di un qualsiasi tipo di sindacato giurisdizionale sugli atti espressione delle loro funzioni; per altro verso, sempre resta dubbio – come pure evidenziano diverse pronunce del giudice delle leggi – la compatibilità dell’istituto dell’autodichia con i precetti costituzionali, rappresentando essa una vera e propria «zona franca della legalità, retaggio dell’ancien régime e cono d’ombra nello Stato di diritto» (p. 9). […]

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