A cento anni dalla fine della Grande guerra molti aspetti di quel complesso ciclo di eventi, nonché il suo bilancio finale, appaiono ancora controversi e si riaffaccia in diverse occasioni pubbliche una narrazione, che recupera retoriche eroicizzanti e nazionalistiche, mettendo in ombra l’impatto devastante del conflitto al fronte e nella società civile. In queste righe si assume il punto di vista del sistema universitario del Regno per comprendere i modi del suo protagonismo nel conflitto, ove fu in prima linea con le conoscenze scientifiche e le coscienze di studenti e professori, ma soprattutto in prima linea con l’arruolamento dei suoi 42.000 mobilitati e la quotidiana litania dei suoi lutti. Murray Butler, dal suo osservatorio alla Columbia University, scrisse che il tentativo di tante università europee di funzionare come se la guerra non esistesse, era un «empty sham», una vuota finzione. Il giudizio è in parte corretto anche per gli atenei italiani ma, insieme a causare questo impoverimento, la guerra fu il motore di iniziative scientifiche e sperimentali innovative e destinate a proficuo sviluppo.
«Su questo immenso campo di guerra europea c’è gloria per tutti. Gloria per chi si sente uomo civile e come uomo civile sente di amare la Patria. E siccome io amo la Patria, desidero che anche noi Italiani si scenda in lizza per conquistare la gloria che spetta agli uomini forti. [… ] quando il sangue è speso bene non c’è da è piangere e guai a farne economia. Le ruote della Storia hanno bisogno di olio rosso per girare bene. [… ] E’ questo l’anno della gloria [… ] e noi che corriamo all’avanguardia del nazionalismo la bramiamo come una promessa d’amore. Chi è giovane di corpo e di anima vuole questa guerra purificatrice, perché in essa […]
Scarica il testo in formato PDF
Sommario: 1. Tra pace e guerra – 2. Una guerra di cervelli – 3. Pro patria mori