Per effetto dell’ordinanza di rimessione alla Corte costituzionale emanata dalla Cassazione, si è aperto finalmente un varco in quella che, tradizionalmente, è ritenuta una «zona d’ombra» o addirittura una «zona franca» del controllo di costituzionalità delle leggi, dal momento che i margini per sottoporre la legge elettorale politica al vaglio della Corte costituzionale sono sempre stati esigui se non addirittura inconsistenti. Principale merito del ricorso dell’Avv. Aldo Bozzi, che ha indotto la Suprema Corte ad investire della questione il giudice delle leggi, è pertanto quello di aver individuato una road map per sottoporre la legge elettorale al controllo di costituzionalità, concorrendo in tal modo ad evitare che tale materia ne sia totalmente svincolata e, in quanto tale, sia suscettibile di presentare elementi di contrasto con il dettato costituzionale in relazione ai quali l’ordinamento non potrebbe che prenderne atto, senza riuscire a predisporre strumenti per farli venire meno.
Tuttavia, non possono al contempo non evidenziarsi le criticità che connotano il ricorso. In via preliminare, l’iniziativa appare per alcuni versi impropria poiché – come già accaduto nel recente passato – si chiede per l’ennesima volta alla Corte costituzionale di intervenire in una sfera squisitamente politica, per supplire all’immobilismo di un legislatore che non ha ritenuto opportuno modificare la legge elettorale benché detta riforma fosse in cima alla lista delle priorità di fine legislatura. Questo non significa affatto che la questione di legittimità sia priva di fondamento o che non vi siano profili su cui è bene che la Corte sia chiamata a pronunciarsi. Tuttavia, è evidente che spetta al Parlamento occuparsi della legge elettorale, così come compete allo stesso legislatore farsi carico di eventuali punti controversi da espungere o modificare. La Corte, d’altro canto, si era già interessata della materia in diverse circostanze, nelle quali essa aveva invitato il legislatore a «considerare con attenzione gli aspetti problematici di una legislazione che non subordina l’attribuzione del premio di maggioranza al raggiungimento di una soglia minima di voti e/o di seggi» (sentenze n. 15-16/2008; 13/2012), mentre da ultimo si era spinta addirittura oltre, sino al punto di raccomandare – attraverso la relazione del Presidente Franco Gallo del 12 aprile 2013 – la modifica del testo, data la sussistenza di evidenti profili di incostituzionalità.
In altri termini, nel caso di specie sembra prospettarsi quella tendenza – già a suo tempo stigmatizzata da Crisafulli – per la quale il potere giudiziario giunge a contestare la legittimità costituzionale di una legge non tanto per ottenere l’adeguamento del diritto vigente al dettato costituzionale, quanto per realizzare – a colpi di sentenza – determinati risultati che dovrebbero però seguire la via maestra, quella parlamentare. […]
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Di seguito si riporta il sommario del saggio: 1. Premessa 2. La rilevanza della questione 3. Liste bloccate e libertà del voto 4. Premio di maggioranza, eguaglianza del voto e principio democratico. 5. Indicazione del «capo della forza politica» e prerogative del Presidente della Repubblica