Chiara Prevete, Recensione a F. Tomasello, L’inizio del lavoro. Teoria politica e questione sociale nella Francia di prima metà Ottocento, Roma, Carocci editore, 2018, pp. 161

Impiegando un metodo che rivendica il proprio debito nei confronti della «genealogia foucaultiana», l’Autore analizza la genesi dei processi che hanno realizzato quel nesso identitario tra lavoro e cittadinanza sancito dalla maggior parte delle Costituzioni europee (così, l’art. 1 della nostra Costituzione fonda la Repubblica sul lavoro (art. 1) e impone allo Stato di promuovere «le condizioni che rendano effettivo questo diritto» all’art. 4. E ancora, la Costituzione francese del 1946 recita, nel preambolo, «Ciascuno ha il dovere di lavorare e il diritto di ottenere un impiego» e quella spagnola del 1978 sancisce, all’art. 35, il «dovere di lavorare e il diritto al lavoro» ). Il contesto storico da cui muove l’analisi è quello francese nel periodo che va dal 1830 al 1848. In questi anni in Francia si sviluppa la c.d. questione sociale ed emerge, nella sua specificità, il campo di problemi legati alla condizione di lavoro subordinato: ove il soggetto operaio diviene destinatario di politiche pubbliche di cittadinanza e di sicurezza sociale.

Il libro si articola in tre capitoli molto densi. Nel primo, si analizzano alcuni avvenimenti storici in grado di rivelare alcuni dei processi che segnano l’emergere della questione sociale: la rivolta dei canuts (il 21 novembre 1831) – i tessitori lionesi- e l’epidemia di colera, diffusasi a Parigi il 29 marzo 1832. La malattia provoca quasi tredicimila vittime tra le classi subalterne, «lo stato miserabile di queste popolazioni è incompatibile non solamente con le speranze della civilizzazione, ma con la sua esistenza. Si deve trovare un rimedio efficace alla piaga del pauperismo, o prepararsi al rovesciamento del mondo», scrive Eugène Buret in un celebre trattato sulla questione sociale (in De la misère des classes labourieuses en Angleterre et en France […], 1840, p. 74). In questo periodo, si radica altresì una difesa della Carta Costituzionale da parte del gruppo dei «dottrinari» (Camille Jordan, Pierre-Paul Royer Callard, François Guizot, Pellegrino Rossi, etc…), che, dopo aver affermato il primato della Costituzione quale pilastro dell’opposizione liberale alla Restaurazione, lavorano dopo la rivoluzione di Luglio 1830 ad affermare stabilmente in Francia un regime monarchico costituzionale. Sul punto Schmitt infatti afferma come «questa curiosa personificazione di una legge scritta aveva il senso di innalzare la legge con le sue garanzie delle libertà borghesi […] al di sopra di ogni potere politico […] né il principe né il popolo, ma è sovrana la Costituzione.» (in Dottrina della Costituzione, 1984). […]

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