Sommario: 1-Premessa.2-La crisi di regime del 1993/4, la transizione successiva e la sua probabile conclusione. 3-I referendum di fine giugno tra interessi partigiani e aspirazioni sistemiche.4-Tra intelligenza e ottusità:l’astuzia della ragione. 5-Conclusioni.
1-Premessa-Nel 2004 un gruppo di intellettuali di origine fucina produsse un volume su Come chiudere la transizione(a cura di S. Ceccanti e S. Vassallo, Bologna, Il Mulino, 2004) nell’ambito di una bi polarizzazione stabile. Le elezioni del 2008 e il primo semestre di quest’anno fanno pensare che la transizione italiana si stia effettivamente chiudendo, ma non nella maniera da loro ipotizzata. Non è una novità, che la realtà si concretizzi in scenari differenti dalle previsioni e questo sembra costituire il dramma dei riformatori troppo razionali . Successe (parzialmente) anche ad Arrigo Solmi (storico del diritto impegnato in politica), che – alle spalle della costituzione della Commissione dei 18 ed in correlazione con quella dei Soloni- pubblicò un volumetto dal titolo intrigante La riforma istituzionale(Milano,Alpes). Il saggio, inserito in una collana di “coltura politica” che ospitava personaggi eccellenti del periodo (quali Panunzio, Murri, Ferri e Lodolini), evidenziò, infatti, che oramai si era riusciti ad ottenere ciò che era fino ad allora mancato in Italia, ovvero un vero partito conservatore, che avrebbe normalizzato l’Italia. In seguito, Giuseppe Maranini, allievo proprio di Solmi e cultore di studi storico-costituzionali, utilizzò in più occasioni il parametro della mancanza del partito conservatore ( e del partito progressista ) per giustificare le peculiarità italiane, fornendo anche spiegazioni istituzionali a questa carenza e ricette peculiari di tipo britannico.
La nascita del Popolo della Libertà e il successo mediatico del suo Leader costituiscono- a mio avviso- le novità che sembrano riproporre la questione sollevata da Solmi in un momento di svolta della storia costituzionale italiana del Novecento, ma che – nello stesso tempo- potrebbero smentire le ipotesi di normalizzazione bipolare del sistema contenute nel volume citato del 2004.
2-La crisi di regime del 1993/4,la transizione successiva e la sua probabile conclusione -Come ovvio, la comparabilità tra le due situazioni storiche citate non tiene, anche se alcuni commentatori nazionali e stranieri paventano che le tendenze contemporanee posseggano aspetti simili. La questione deve- a mio avviso- essere ,invece, analizzata laicamente all’interno del processo di riallineamento politico-istituzionale avvenuto nell’ultimo quindicennio, che ha aspetti completamente differenti dalla cesura dei primi anni Venti. La crisi di regime italiana degli anni Novanta ,che ha prodotto una discontinuità forte nel ceto politico nazionale tra prima e seconda fase della Repubblica, è avvenuta dopo il 1992-3 con la scomparsa di tutte le formazioni che avevano partecipato alla approvazione della Carta costituzionale del 1948.
A questo proposito è bene ricordare due elementi. In primo luogo che la cosiddetta Tangentopoli venne preparata dagli avvenimenti internazionali del 1989, dall’impossibilità di finanziare il consenso con il deficit pubblico, dalla nascita dei partiti regionalisti e da una corruzione politica che aveva superato il sopportabile. In seconda istanza che, quando un sistema politico-costituzionale viene investito da difficoltà sul piano internazionale, economico, politico e di legittimità, la possibilità che la crisi diventi di regime (investendo norme,valori ,regole del gioco e strutture di autorità in cui agiscono gli attori politicamente rilevanti ) sono molto alte. In quel frangente l’innesco venne formalmente provocato dal referendum sul sistema elettorale (su quello materiale dai procedimenti penali contro il ceto politico), ma ci si dimentica troppo facilmente che nel 1993 il referendum colpì soprattutto il complessivo sistema dei partiti sul piano della legittimità attraverso il quesito sul finanziamento pubblico. E’ significativo che,nel 1978, lo stesso quesito fosse stato respinto con il 56,1% dei voti espressi, mentre il plebiscito antipartitocratico del 1993 ottenne il 90,7% dei consensi espressi,destrutturando il più pesante Stato dei partiti d’Europa.
La seconda fase della Repubblica è , dunque , iniziata con una lunga transizione durata quindici anni circa e che si sta concludendo nel corso di questo ultimo anno.
I punti di svolta sono, a mio avviso, tre.
a. – Le elezioni politiche del 2008 sono state elezioni critiche nella prospettiva dei Valdemar O. Key, ovvero elezioni di svolta che hanno identificato un blocco di forze capace di condizionare l’ordinamento per un certo numero di anni.
b. Il Popolo della Libertà costituisce il consolidamento in progress dell’alleanza prospettata nel corso delle elezioni di svolta del 1994.
c. La ristrutturazione a sinistra sembra,invece, fallita :i due soggetti , che si sono aggregati , mantengono le loro divergenti identità,sia sul piano europeo che su quello nazionale;l’Italia dei Valori è in espansione.
3-I referendum di fine giugno tra interessi partigiani e aspirazioni sistemiche- In questo quadro i referendum elettorali di fine giugno- fissati dopo le consultazioni europee e in coincidenza con i ballottaggi amministrativi- potrebbero costituire il volano per definitiva conclusione della transizione, perché eliminerebbero o attenuerebbero le tensioni del polo moderato e lo stabilizzerebbero definitivamente. Ove fosse raggiunto il quorum, la tendenza all’aggregazione- al di là delle apparenze- verrebbe, infatti, rafforzata in ambito governativo, nonostante la forte e sincera avversione della Lega per i quesiti Guzzetta -Segni. Una simile dinamica potrebbe essere vista come pericolosa da chi considera il polo moderato come alieno rispetto ai valori costituzionali . E’ questo precisamente il problema che affligge il Partito Democratico, stretto tra la necessità di legittimare il proprio ruolo di unico competitore del partito moderato ( e quindi favorevole alla selezione di altri concorrenti ), ma d’altra parte preoccupato sia per la propria debolezza, sia per la natura del PdL.
Com’è noto, il movimento referendario sottopone a votazione popolare deliberativa tre referendum e due quesiti . Il terzo referendum sulle candidature multiple non possiede una reale rilevanza sistemica, anche se formalmente provvede a ridurre i caratteri plebiscitari della contesa elettorale, impedendo che nelle circoscrizioni sia presente come capolista sempre la stessa persona. I due primi individuano però in maniera omogenea l’obbiettivo di attribuire esclusivamente al primo partito il premio di maggioranza previsto dalla l.270/2005. Una simile previsione impedirebbe ogni potere di interdizione coalizionale interpartitico, ma richiederebbe una forte coesione intrapartitica, oggi assicurata solo da Silvio Berlusconi , ma in futuro dalla costituzione di una struttura non più di plastica del PdL.
E’ evidente che la posizione del segretario del Partito Democratico Franceschini sul tema è, invece, molto debole ed ideologica. L’appoggio dato da Walter Veltroni e dall’attuale dirigenza del PD ai referendum non tiene conto – al di là di altre osservazioni- delle condizioni politiche cui è collegata l’utilizzazione degli strumenti istituzionali . I sistemi elettorali costituiscono – com’è noto- strumenti tecnici ad alta valenza politica e le loro conseguenze sono connesse con il contesto di riferimento. Circa trentacinque anni fa gli assertori italiani del doppio turno in collegio uninominale(ad es. Domenico Fisichella) abbandonarono precipitosamente le proposte relative all’introduzione di quel sistema quando si resero conto che, invece di sfavorire il Pci – come tradizionalmente volevano, lo avrebbero rafforzato.
4-Tra intelligenza e ottusità,l’austuzia della ragione- Berlusconi ha compreso,invece, che i due referendum per l’abrogazione della possibilità di coalizzarsi lo rafforzano non solo in senso attuale, ma anche potenziale , cosicché ha sfruttato opportunamente la situazione sia per quanto riguarda la data di effettuazione della consultazione, sia per quanto riguarda la posizione da assumere nei confronti dei quesiti. Egli ha gestito il problema della data in maniera da alzare il prezzo con l’alleato della Lega (no all’Election Day, no a spese eccessive, si alla data laterale del 21 giugno), per poi dichiarare che avrebbe votato si . Il pistolone del referendum (per utilizzare un immagine polemerotica di Giuliano Amato) non è stato solo messo sul tavolo, ma puntato palesemente contro i partner riottosi. La Lega sa che ,se Berlusconi ( e Fini ) lanciassero il grido di battaglia, il quorum potrebbe essere raggiunto.
L’interrogativo è, dunque, se Silvio Berlusconi avrà sufficiente coraggio di rischiare fino in fondo per vincere definitivamente la partita. Dario Franceschini ed il Partito Democratico si dovranno,invece, rendere conto che, se dovessero essere abrogate le disposizioni relative alle coalizioni, non sarà automatica – come essi continuano ad affermare- la riformulazione delle regole elettorali per le due Camere.
In proposito stupiscono le affermazioni di coloro che, all’interno delle opposizioni, affermano che si dovrà necessariamente redigere una nuova legge elettorale, che sostituisca il prodotto del vice-presidente del Senato Roberto Calderoli, a suo tempo ministro per le Riforme istituzionali e la Devoluzione. Si tratta di palese errore ideologico e fattuale. Ciò era senz’altro vero nel 1993, quando l’abrogazione della ripartizione proporzionalistica del sistema elettorale del Senato finiva per rendere necessaria( in presenza di un meccanismo speculare per la Camera) la formulazione di una nuova normativa per le votazioni elettive a livello nazionale. Nel caso dei referendum del 2009, non soltanto i due quesiti principali produrranno un sistema di trasformazione dei voti in seggi omogeneo e funzionante per le due Camere( anche se l’ipotesi di una possibile divergenza liminare era stata messa in evidenza da chi aveva sostenuto l’inammissibilità dei quesiti), ma soprattutto legittimeranno attraverso il voto popolare il meccanismo della 270/2005 sulla base del fine esplicito della bipartiticizzazione parlamentare. Ci si trova- dunque- di fronte ad un interessante caso di follia istituzionale, che una volta tanto fa trovare illuminanti le affermazioni di Calderoli sulla necessità del trattamento sanitario obbligatorio per i sostenitori del referendum all’interno della dirigenza del Partito Democratico.
Per quanto riguarda la fase post-referendaria sbaglia, invece, chi creda che , ove il risultato fosse favorevole al Comitato promotore , ci si troverebbe automaticamente nella necessità di sciogliere le Camere. Anzi, l’opportunità di redigere un nuovo sistema elettorale rafforzerebbe la dipendenza della Lega da Berlusconi, che potrebbe gestire – a suo piacimento- il gioco fino alla fine della legislatura . Le prospettive potrebbero ovviamente essere destrutturate dalla crisi economica e dalle tensioni sociali, ma la mancanza di una reale alternativa giocherebbe in favore dell’attuale Premier anche nell’ambito delle scadenze istituzionali future.
5-Conclusioni-In conclusione. le prossime votazioni popolari di giugno(elettive e deliberative) sembrano rafforzare la stabilizzazione moderata del sistema politico-costituzionale italiano con la conclusione della transizione italiana, ma non la sua normalizzazione su standard simili a quelli di democrazia pluralista stabile. Restano infatti i problemi istituzionali che hanno fatto retrocedere il nostro sistema al rango 2 della graduatoria della Freedom House (conflitto di interesse,mezzi di comunicazione di massa ,scivolamento verso la nomina della preposizione elettiva dei rappresentanti , ecc.), mentre la dialettica sistemica sembra oramai restringersi al partito delle Libertà, come dimostrano efficacemente le posizioni del Presidente della camera Gianfranco Fini.