1- Devo una veloce risposta all´interessante intervento di Giovanni Guzzetta sul mio editoriale di Federalismi.it. Sulla base di un mio accenno, invero molto laterale, all´eventuale proposta da lui ipotizzata di referendum abrogativo su parte della legge elettorale, Guzzetta ha evidenziato tre elementi . In primo luogo ha affermato che il formarsi di una Grosse Koalition costituirebbe la certificazione del fallimento dello spirito della legge elettorale vigente. In seconda istanza ha sostenuto che, nel caso si arrivasse ad un simile scenario, si aprirebbero problemi di legittimità politica e costituzionale. Infine, ha ammesso che la proposta referendaria ha per adesso le caratteristiche di esercizio tecnico, ma che, in ogni caso, il meccanismo risultante dal referendum favorirebbe l’aggregazione bipolare.
2- I piani delle osservazioni sono differenziati e debbono essere distinti. Dico subito che concordo con l´idea di Guzzetta e di moltissimi altri che questa legge elettorale sia – com’è stato asserito in maniera “raffinata” da uno dei suoi autori – una vera “porcata” (Reuters Italia: Legge elettorale, ex ministro Calderoli in tv: “E´ una porcata”). Ritengo, inoltre, che l’attuale maggioranza l´abbia introdotta coscientemente per far saltare i giochi dell´avversario e limitare le perdite di una probabile sconfitta.
Si è trattato in sostanza della riedizione all’italiana di ciò che fece François Mitterand nel 1985, introducendo un sistema non maggioritario in collegi di piccole dimensioni e con clausola di esclusione. Allora Mitterand venne accusato di aver voluto “sauver les meubles”, impedendo la vittoria dell´avversario di destra per mezzo del maggioritario uninominale a doppio turno. Perse le elezioni e Jacques Chirac reintrodusse il SUMADT (scrutin uninominal majoritaire à deux tours). Tuttavia il sistema, che l’allora Presidente della Repubblica francese aveva prescelto, era in linea con il tentativo di favorire i due maggiori partiti del sistema e non aveva le caratteristiche sgangherate e contraddittorie del meccanismo italiano approvato alla fine dell’anno scorso.
In sostanza, posto che il sistema elettorale in senso stretto costituisce uno strumento tecnico ad alta valenza politica dove convivono gli alti principi e la bassa cucina, è evidente che nel caso italiano si sono superati i limiti della decenza. Il nuovo meccanismo non soltanto ripropone il difetto principale del vecchio di una possibile ingovernabilità attraverso la mancata coincidenza delle maggioranze nelle due Camere o l´estrema debolezza di quella del Senato, ma l´aggrava con una serie di previsioni che ne fanno un unicum nel panorama internazionale. Questa legge elettorale ha soprattutto eliminato il momento della contesa per la preposizione dei candidati a cariche parlamentari, concentrando formalmente la scelta sul capo della coalizione, ma in sostanza lasciando mano libera ai leaders dei singoli partiti, che operano vere e proprie designazioni sulle proprie quote potenziali di seggi.
3- Detto questo, penso però che sostituire il vigente sistema con il prodotto di una operazione di ritaglio referendario costituisca la riproposizione di uno spartito che ha già portato ad esecuzioni stonate.
Dal 1991 al 1993 sostenni che il cambiamento razionale non poteva venire dall’utilizzazione di un referendum abrogativo in campo elettorale, ma dall’azione di convergenza delle élites in sede partitico – parlamentare. Allora mi opposi al referendum abrogativo, perchè ritenevo che il mutamento del meccanismo di trasformazione dei voti in seggi avrebbe provocato con la caduta dei soggetti politicamente rilevanti anche la crisi dello stesso patto costituzionale. A circa quindici anni dalla consultazione sulla preferenza unica e a tredici da quella relativa al sistema elettorale del Senato la realtà di una Costituzione stravolta e rattoppata preoccupa tutti, ma è evidente che un simile fenomeno è anche la conseguenza della scomparsa dei protagonisti del periodo costituente e della mancanza di veri sostituti. Si è pensato di fare a meno dei partiti e ci si è trovati ad aver a che fare con oligarchie ancor più incontrollate di quanto non fossero prima.
Dopo circa tredici anni di sistema tendenzialmente maggioritario, la nuova legge elettorale è la più oligarchica e partitocratica mai prodotta in un ordinamento di democrazia pluralista e – al di là delle affermazioni formali – penso non dispiaccia alle segreterie dei partiti dell’Unione. Essa rafforza, infatti, le élites nazionali in maniera scandalosa e sembra aver fatto dimenticare a tutti i discorsi sulla democrazia infrapartitica e sulle primarie.
Un simile meccanismo appare come la palese certificazione della persistenza di una crisi di riallineamento del sistema partitico, cui solo gli strumenti istituzionali non possono dare soluzione. C´è la necessità di un nuovo patto, che archivi gli obbrobri istituzionali che sono stati introdotti negli ultimi anni e che favorisca la ripresa.
4- Bisogna – dunque – cambiare registro, iniziando dallo stesso tema elettorale e dalle stesse procedure per modificarlo. Negli anni Novanta rimasi ammirato dalla capacità del sistema neozelandese di sciogliere la matassa della riforma del sistema elettorale in senso stretto attraverso il ricorso combinato ad esperti, all’Assemblea parlamentare ed al Corpo elettorale. Il classico plurality britannico, non più considerato adeguato per un ordinamento allora ritenuto esempio massimo del modello Westminster, venne sostituito con un meccanismo simile a quello tedesco attraverso un limpido percorso per la modifica controllata e consapevole.
La vicenda italiana si è posta – e non è solo un riferimento al mappamodo – agli antipodi. Continuo a pensare – smentito palesemente dalla giurisprudenza della Corte – che argomenti come quelli relativi al sistema elettorale in senso stretto non possano essere affidati tout court al referendum abrogativo e che solo nell’ambito di una crisi di regime come quella del primo lustro degli anni Novanta la Consulta abbia potuto dare il segnale verde ad una simile procedura.
Altri non la pensano così e sono molti. Tra questi il gruppo dei dirigenti della Fuci (Ceccanti, Guzzetta, Vassallo e altri), che conosco dagli inizi del 1990, quando con Barbera, De Siervo e Duverger partecipai a Trento ad una tavola rotonda sulle riforme istituzionali. Allora rimasi impressionato dall´intelligenza e dalla vivacità del gruppo, ma continuo a ritenere che la strategia referendaria costituisca una cura da cavallo che – se non esiste un ceto politico adeguato e procedure bilanciate – non riesce a fornire i risultati sperati e che, addirittura, può favorire l´avvitamento dell´ordinamento.
5- Nei prossimi mesi, dopo le elezioni politiche generali, ci troveremo di fronte a scadenze pesanti nell´ambito di tutti i sottosistemi societari. Nella prevedibile centrifugazione dei poli che deriverà dalla necessità di interventi pesanti per impedire che la crisi economica e sociale tracimi e che l’indirizzo di politica estera diventi ancor più incerto, ritengo possibile che la prospettiva centripeta risulti la più praticabile.
Si tratta di una soluzione politica che – ovviamente – deve essere confermata dai dati elettorali e che non investe il piano costituzionale. Invero le osservazioni di Guzzetta sui problemi di “eguaglianza tendenziale delle opportunità” (Chanchengleichheit), che si riverbererebbero su coloro che hanno condiviso il premio nell´ambito di una coalizione e cambierebbero alleanza, non mi convincono. Non deriva, infatti, vincolo costituzionale da una legge ordinaria e l´art. 67 Cost. prevede ancora il divieto di mandato imperativo. I parlamentari hanno – quindi – tutto il diritto di votare per chi vogliono e di cambiare posizione, rispondendone (formalmente) al Corpo elettorale a fine legislatura.
Ciò non toglie che alla base di una simile prospettiva vi dovrebbe essere l’esigenza di operare sulla base di un progetto razionale e condiviso per il cambiamento della legge elettorale e per ristrutturazione istituzionale. Capisco dunque il fascino dell´ascia bipenne referendaria, ma – vista l´esperienza del passato – consiglio bulino e cesello e, sopratutto, dialogo laico su temi che aborrono le guerre di religione.