Anch’io come il Prof. Raffaele Bifulco a causa dei tempi ristretti mi sono posto il problema di delimitare il mio intervento. La mia è scelta è caduta sulla questione della ammissibilità del ricorso.
Alcune brevissime riflessioni.
Avevo già manifestato le mie perplessità a suo tempo, perplessità peraltro superate nei fatti – diciamo sostanzialmente superate – dalla pronuncia della Corte.
Su questo problema già furono sollevati dei dubbi sulla ammissibilità da molti degli interventi del precedente Seminario, tra i quali ricordo quello della Prof.ssa Adele Anzon in particolare.
Tali dubbi si incentravano, essenzialmente, sulla mancata distinguibilità tra il petitum reale e l’oggetto del giudizio di costituzionalità, petitum reale inteso come il “bene della vita” chiesto al giudice comune.
Tale distinguibilità, caratterizza, sotto il profilo del connotato della concretezza, il nostro modello di giustizia costituzionale, il quale – come sappiamo – coniuga il modello anglosassone con la necessità di una efficacia erga omnes della pronuncia di costituzionalità, in un contesto in cui invece non vengono previsti, al contrario del contesto anglosassone stesso , lo stare decisis o il precedent.
Ora da questo punto di vista le motivazioni della Corte non mi convincono.
Questo nonostante giustamente il Prof. Fulco Lanchester abbia prima ricordato l’opportunità politica come criterio in grado di consentire di andare oltre quelli che potrebbero essere definiti come formalismi, o, comunque, come situazioni in cui questa distinzione, è difficilmente rintracciabile.
Da questo punto di vista il dato comunque emergente è che la motivazione della Corte sembra prefigurare un modello in cui, questa “apertura”, – termine oltremodo adatto in quanto “le porte aperte della Consulta” è stata una definizione utilizzata da molti dei commentatori di questa Sentenza –, queste “porte aperte” rappresentano ormai un dato obiettivo, sul quale è forse necessario, proprio sul piano della sua portata, effettuare qualche riflessione.
Dell’effettività di questo modello di tutela, questa breccia aperta sulle “zone grigie” – “zone grigie” che fino ad oggi hanno rappresentato un problematica legata proprio al loro essere una “zona franca” all’interno del giudizio di costituzionalità – deriva come non sia stata la scelta della Corte una deroga, una rottura della costituzione, o una eccezione, ma che, al contrario, essa abbia sancito una forma di accesso.
Forma di accesso da considerare quindi come ordinaria e ripetibile nel tempo, e che darà luogo anche a problematiche di natura applicativa e procedurale.
Da questo punto di vista è possibile ritenere come questo modello sembra – e queste rappresentano prime impressioni, suscettibili peraltro di approfondimenti – prefigurare una logica di preferred right, per usare la nota categoria statunitense, la quale si basa, come appunto in questo caso, sull’alta valenza del diritto fatto valere.
Logica emergente quindi in considerazione – come abbiamo detto – del valore del diritto piuttosto che per la coerenza con i principi in tema di distinzione tra petitum nel giudizio di merito e oggetto di giudizio incidentale.
Si trattava appunto di superare comunque una “zona franca” del giudizio di costituzionalità.
Ma questa apertura, ovviamente, è stata fatta proprio per la natura di diritto fondamentale del diritto di voto.
Diritto collegato quindi al funzionamento di gangli vitali, di momenti fondamentali del circuito democratico. La Corte in passato già aveva avuto modo di esprimersi in maniera simile, ed questa sua recente Sentenza ha fatto tornare alla mia memoria la peculiarità del settore politico e del collegamento a questa logica di diritti collocati in aree a carattere non necessariamente “funzionale”, come in materia di par condicio. […]