Parto con quattro ricordi autobiografici, che ritengo significativi per descrivere i mutamenti di più di mezzo secolo, sia per quanto riguarda le dimensioni numeriche del personale docente e degli studenti, sia quelle qualitative per quanto attiene al genere degli stessi nell’ambito dell’Università italiana ed in particolare dell’area giuridica.
a – Quando nel 1969 presi la licenza liceale, mia Nonna e mia Madre – passando da Milano – mi portarono da un amico di Famiglia (Enrico Redenti, nipote dell’omonimo processual-civilista), il quale chiese a mia Nonna (non a me ovviamente) cosa avrei fatto nella vita, ricevendo la risposta che sarei divenuto professore universitario. Rendenti – con cui facevo delle lunghe nuotate a Milano Marittima dove avevamo una casa – rispose allarmatissimo “Renata, lo sconsiglio, non è più una professione accettabile: stanno introducendo il tempo pieno”.
b – Qualche anno dopo, mi ero laureato e venni nominato immediatamente assistente incaricato supplente, che – per chi ricorda quei tempi – era una posizione di alta precarietà, soprattutto dopo i provvedimenti urgenti del 1973. Nell’estate 1974 incontrai un docente dell’Università di Pavia (Pietro Crespi), fratello di Alberto il penalista della Cattolica. Crespi, che era stato ufficiale del Savoia cavalleria in Russia e che sarebbe divenuto nel concorso di quell’anno ordinario di Sociologia politica, mi chiese della mia posizione accademica. Saputala, mi disse che avviare un giovane alla carriera universitaria era una responsabilità gravosa, perché bisognava farlo riuscire. Dopo alcuni secondi, concluse il ragionamento, dicendo che – nel caso di un allievo di sesso femminile – il problema era meno rilevante, perché se ne poteva fare anche una semplice collaboratrice. […]
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Sommario: 1. Quattro ricordi personali. – 2. I cambiamenti. – 3. Le protagoniste della lunga Marcia. – 4. Conclusioni provvisorie.