La celebrazione della storica sentenza n. 33 del 1960 della Corte Costituzionale, alla quale quest’anno è dedicato l’incontro sul tema delle differenze di “genere” nell’area universitaria giuspubblicistica – promosso dal collega Fulco Lanchester e dalla “Rete per la parità-Comitato 603360” – non deve risolversi, secondo me, in una rievocazione del passato e nel ricordo di esperienze personali.
Sul passato e sulle mie esperienze vorrei perciò evitare di soffermarmi se non per ricordare che, fin dalla redazione della tesi di laurea, e poi nella mia attività di studio e ricerca, non mi sono mai sentita discriminata in quanto donna né dal mio Maestro Vezio Crisafulli, né dall’ambiente che allora gravitava nell’Istituto di diritto pubblico della Sapienza (dove, tra l’altro, per la mia materia, nei primi tempi ero l’unica rappresentante del sesso femminile). Nel prosieguo della carriera e nei contatti con altri personaggi-guida (come Aldo Sandulli) e con altri autorevoli colleghi uomini, non ho mai notato atteggiamenti discriminatori nei miei confronti solo perché donna.
Forse non me ne sono accorta e sono stata ingenua o stupida. Il fatto è che io nello studio e nel lavoro universitario mi sono sempre sentita e presentata semplicemente come una persona e non come una donna e resto convinta che se la mia carriera non è stata abbastanza rapida e brillante come quella di altri, è stato esclusivamente per mio demerito, e non per l’avversione dei “maschi”.
Vengo invece ora al ben più importante stato presente della questione e alle prospettive future. […]
Adele Anzon Demmig, Donne (e uomini) nella comunità accademica dei giuspubblicisti
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