Riflettere sulla Sentenza n. 1 del 2014 della Corte costituzionale. sulle questioni sollevate dalla Corte di cassazione circa la legge elettorale vigente fino alla fine dell’anno scorso (cd. legge Calderoli) richiede che si tocchino vari punti, alcuni di più facile comprensione, altri assai più delicati. In alcune parti, fermo restando il rispetto che si deve a una decisione della Consulta, si può persino sostenere che il ragionamento seguito dal giudice delle leggi non sia del tutto convincente e, de iure condendo, renda necessarie alcune riflessioni approfondite.
Si sottolinea fin dall’inizio che ci si concentrerà sugli aspetti relativi all’ammissibilità delle questioni e sugli effetti in materia di disciplina elettorale (immediati e pro futuro); non ci si avventurerà invece nell’analisi dell’ultimo tema trattato dalla sentenza – ossia gli eventuali effetti della sentenza sulla composizione e sulla legittimazione giuridica delle Camere formatesi in seguito alle elezioni politiche del 2013 – non certo perché sia privo di interesse, ma per evitare di ridurne la trattazione a poche pagine, senza dare lo spazio autonomo che merita. […]
A ripercorrere i giorni che hanno preceduto la decisione della Corte costituzionale, emerge innanzitutto un certo livello di incertezza su come la Consulta avrebbe potuto agire per affrontare la questione; nei dubbi sul quomodo, peraltro, erano ricompresi anche rilevanti dubbi sull’an, non essendo data per scontata una decisione nel merito.
Non è sbagliato dire che alla vigilia erano sostanzialmente due gli indirizzi riconoscibili nella dottrina. C’era chi immaginava che il giudice costituzionale non sarebbe nemmeno arrivato a esprimersi sulla questione sottopostagli, optando piuttosto per una pronuncia di inammissibilità (trovandosi materialmente in sintonia con le valutazioni fatte dal giudice civile nei primi due gradi del processo da cui è scaturito il caso). Non si trattava tanto dell’idea diffusa tra chi – evidentemente con una riflessione non giuridica – riteneva che l’inammissibilità sarebbe stata un’agevole via di fuga, un commodus descessus che la Corte avrebbe potuto utilizzare per non intervenire in una materia politicamente molto sensibile come quella elettorale.
L’idea che la Consulta non potesse (e non dovesse) pronunciarsi nel merito era stata sostenuta anche da qualcuno che aveva autorevolmente presieduto l’organo in un recente passato. Da una parte, c’era più che il sospetto che quella intrapresa dall’avvocato Aldo Bozzi e dagli altri cittadini elettori coinvolti fosse una lis ficta, instaurata al solo scopo di creare le condizioni per un ricorso incidentale alla Corte costituzionale: un’eventualità non ammessa, per evitare che si aggiri il divieto di ricorso in via principale. Dall’altra, c’era la consapevolezza che anche il semplice intervento ablativo del giudice delle leggi – in particolare attraverso l’asportazione “chirurgica” delle disposizioni che prevedevano l’attribuzione del premio di maggioranza alla Camera e dei premi regionali al Senato – avrebbe mutato il sistema elettorale al punto da realizzare «un vero e proprio radicale mutamento legislativo, che però non può che spettare ad organi rappresentativi», mentre «la Corte in realtà non dispone della legittimazione a riscrivere i sistemi elettorali».
Per evitare dunque di mettere il giudice delle leggi in una posizione potenzialmente molto scomoda, facile bersaglio di critiche da parte degli attori politici (e non solo), per qualcuno la Corte costituzionale avrebbe fatto meglio a sbarazzarsi a monte della questione con una pronuncia di inammissibilità, sia pure a prezzo di un silenzio “sforzato” in una materia su cui la stessa Corte aveva ammonito più volte il legislatore nel giro di un periodo relativamente breve, senza dunque dare seguito ai propri avvertimenti.
Se questo era il primo indirizzo, altri studiosi, al contrario, erano più propensi a pensare (a sperare?) che il giudice delle leggi, proprio per il numero consistente di avvertimenti lanciati al Parlamento (e, più in generale, al mondo politico) negli ultimi anni, specialmente in quello che stava per concludersi, avrebbe trovato il modo di esprimersi e di dichiarare l’illegittimità costituzionale di alcune delle norme più problematiche della legge n. 270/2005: questo, eventualmente, anche a costo di qualche forzatura al proprio carnet consolidato di decisioni in materia. Di fatto le cose sono andate proprio così e la stessa lettura della sentenza n. 1 del 2014 sembra confermare che alla base della decisione c’è stato un ragionamento simile. […]