Il volume in analisi muove dal riconoscimento del fatto che i movimenti migratori, dato irreversibile del mondo contemporaneo, hanno messo in discussione – ed in alcuni casi specifici ampiamente superato – il modello ottocentesco dello Stato-Nazione, e prefigurato piuttosto la presenza normale, nel medesimo territorio, di comunità riconosciutesi come tali, e pertanto intenzionate a far valere, rispetto alla maggioranza, differenze di ordine culturale, giuridico e religioso. Complessivamente tali differenze chiamano in causa sia la Forma di Stato – «intesa come assetto dei rapporti fra governanti e governati» – che la Forma di Governo (p. 20), con i relativi meccanismi costituzionali. Laddove la tradizione giuridica dello Stato liberale ha sempre teso piuttosto alla garanzia dei diritti individuali (p. 27), una processualità tanto complessa pone la necessità, in termini più espliciti e urgenti che in passato, della definizione e della tutela di diritti collettivi in capo a tali comunità: di diritti, cioè, riconosciuti «a una entità, con un nome collettivo, che, pur indicando una pluralità, è concepita organicamente (almeno sotto il profilo etico) come dotata di una volontà unitaria e costante, sempre esprimibile e riconoscibile» (p. 27).
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