Tension is rising among Europe’s highest courts, scriveva non più di qualche mese fa Daniel Sarmiento con riferimento, tra le altre, alla recente vicenda che ha visto la nostra Corte costituzionale interpellare la Corte di giustizia dell’Unione europea per tentare di prevenire un possibile dissidio interpretativo intorno al cd. “caso Consob”, ossia relativamente all’art. 14, par. 3, dir. 2006/3/CE, nella parte in cui non contempla il diritto al silenzio delle persone fisiche quando fornire informazioni all’autorità procedente possa comportare l’emersione di responsabilità per insider trading. Per la verità, la tesi sostenuta nello scritto è che la nostra Corte costituzionale abbia individuato una propria via, un particolare atteggiamento (definito “seduttivo”) per allentare ed affrontare questa tensione. Atteggiamento che la distinguerebbe dalle Corti supreme di altri Stati membri, che invece praticano una “pragmatica rassegnazione” dinnanzi all’incalzare delle competenze e del potere decisionale della Corte di giustizia, così come da quelle Corti – di cui emblematico è l’esempio tedesco – che mostrano invece un atteggiamento riottoso (sterilmente riottoso, nell’ottica dell’Autore). Si tratta di tesi in certa misura condivisibile, specie nella parte in cui correttamente inquadra la particolare attitudine – persuasiva, argomentativa – della nostra Corte, l’autorevolezza della postura nel rivolgere le questioni interpretative al Giudice europeo quando la soluzione di quelle questioni abbia delle conseguenze sul piano costituzionale e, specialmente, sul piano dei diritti (ancor più quando siano coinvolti principi fondamentali o il nucleo essenziale – irrivedibile – di garanzia dei diritti costituzionalmente previsti). Non del tutto convincente è, invece, l’ottimistica prospettiva che sembra trasparire dallo scritto, ovvero quella del pressoché sicuro successo di questo metodo: come si cercherà di argomentare in questo breve commento alla vicenda, la condivisione del plauso rivolto alla nostra Corte suprema per la raffinatezza di un argomentare capace di coprire con un guanto di seta un pugno di ferro non può non accompagnarsi ad una cauta ponderazione dei rapporti di forza in campo, che rendono l’operazione sempre passibile di sconfitta o che, detto in maniera meno forte, implicano necessariamente un atteggiamento collaborativo da parte della Corte di giustizia. Una certa cautela, inoltre, andrebbe prestata nel constatare l’allentamento della tensione determinato dal rinnovato successo nel componimento del conflitto. Tale allentamento, di cui sicuramente la rilevata attitudine della Corte costituzionale italiana è fondamentale compartecipe, è infatti, a ben vedere, solo apparente poiché ancora in gioco, più alla radice, è il riposizionamento del Giudice costituzionale nella trama delle relazioni con le Corti sovranazionali che, in atto da diverso tempo, è stato manifestato in maniera chiara nell’oramai famosissimo obiter dictum della sentenza n. 269 del 2017, ma che probabilmente può farsi risalire già all’ord. n. 207 del 2013, nella misura in cui quel primo riconoscimento della possibilità per la Corte costituzionale di rivolgersi in via pregiudiziale alla Corte di Giustizia anche dalla sede incidentale può ritenersi un’apertura di dialogo con il Giudice del Lussemburgo proprio servente il recupero di una centralità del Giudice della costituzionalità nelle tematiche afferenti alla tutela dei diritti. A questa tensione, che si rivolge verso l’esterno e che, sia pur non crescente, deve essere mantenuta quantomeno costante affinché i tentativi del nostro Giudice di indirizzare, se non di farsi artefice, delle convergenze ermeneutiche fra Corti apicali possano approdare al successo, occorre poi combinare una tensione interna, relativa all’impatto che il nuovo ruolo assunto dalla Corte costituzionale nel sistema costituzionale integrato esercita nel rapporto con gli altri poteri dello Stato. In particolare: nel rapporto con i giudici comuni, il cui potere di disapplicazione della normativa interna in contrasto con quella europea (in particolare, ma non solo, con la Carta dei diritti fondamentali), in una con il loro potere di richiedere chiarimenti interpretativi alla Corte di giustizia, viene (almeno in parte) eroso dalla nuova giurisprudenza in tema di doppia pregiudizialità; nel rapporto, poi, con il potere legislativo, che rischia invece di essere pretermesso, nell’attivazione di un confronto sull’attuazione dei diritti che si svolge e tende a risolversi tutto sul piano giurisprudenziale. I fili di tensione, di alta tensione, sono dunque molti. Il presente scritto intende percorrerli alla luce dell’analisi della sentenza della Corte costituzionale che chiude, dal versante interno, la “vicenda Consob”.
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SOMMARIO: 1. Premessa: un dialogo che corre su fili ad alta tensione. – 2. Il diritto al silenzio nel componimento fra sistemi. – 3. Le novità in tema di doppia pregiudizialità. In particolare: qualche notazione sulla pregiudiziale di validità e sulla sua valenza nel confronto fra le Corti. – 4. La vicenda Consob: prevenzione o elusione del confronto sui controlimiti? – 5. Le implicazioni interne della vicenda Consob. – 6. Qualche osservazione in chiave prospettica: nuove tensioni nel circuito giudici comuni-Corte costituzionale-Corte di giustizia.