Parlerò come un normale cultore del Diritto costituzionale, perché oramai mi sento lontano e distaccato dal mondo della Corte costituzionale. Vorrei cominciare anch’io dalla parte finale della Sentenza.
Condivido in pieno quel che diceva Carnevale poco fa. Io fui colpito dal comunicato stampa del 4 dicembre, e così – a caldo – dissi alcune cose anche in un Convegno di Astrid. Dico la verità, fui trattato molto duramente, fui – tra virgolette – picchiato. Allora dissi che “dovevo imparare”, ma in questa sede possiamo chiaramente dire le cose come stanno.
Primo punto. Intanto è una novità che la Corte predetermini gli effetti delle proprie decisioni. Gli effetti sono solitamente rimessi all’interpretazione dell’operatore giuridico. È lui che dovrebbe interpretare quali dovrebbero essere gli effetti. Quindi già questa è una novità. Considerazione che rimane valida anche supponendo che l’indicazione degli effetti messa nel comunicato stampa sia stata inserita con una funzione divulgativa.
Ma andando a leggere la Sentenza, è ancora peggio di quello che si potesse pensare. Intanto stupisce come l’art. 66 della Cost., di recente – nel bene e nel male – molto richiamato nella prassi del Senato, sia del tutto scomparso. Tutto finisce con la proclamazione. Io posso capire come il discorso possa reggere pro praeterito, e apprezzo qui la saggezza di Paolo Ridola. Regge perché ormai è concluso, si tratta infatti di situazioni esaurite. Ma, pro futuro, il problema mi lascia molto perplesso, perché in fondo una legge elettorale non serve soltanto alla trasformazione di voti in seggi, ma conferisce anche la legittimazione all’eletto di operare in nome e per conto dell’organo in cui è stato eletto, con poteri tipici. Quindi, pro futuro, colui che da questa legge è stato eletto avrà una legittimazione derivante dalle elezioni che, dopo le espressioni durissime usate dalla Corte, da un punto di vista giuridico è venuta meno.
Si tratta di un limite che va a toccare addirittura la struttura democratica del sistema, quindi, espressioni pesanti. Ma all’improvviso, secondo la Corte, queste espressioni, al di là della proclamazione, non contano più.
Si è detto come non si sia potuto procedere allo scioglimento anticipato in quanto sarebbe stato pericoloso.
Ma ricordo per inciso che, dopo il referendum abrogativo del ’93, Scalfaro sciolse le Camere.
E si trattava di un referendum abrogativo! Insomma era ben poco rispetto ad una sentenza di incostituzionalità emessa dalla Corte costituzionale. Infatti – ecco qui la saggezza di Paolo Ridola – si poteva pensare che, proprio perché il Diritto costituzionale è anche buon senso, fosse consentito di approvare soltanto leggi urgenti per il sistema, e cioè, la legge elettorale. E subito dopo procedere allo scioglimento anticipato. Ma che si possano realizzare riforme costituzionali di modifica del Senato – addirittura sopprimendolo – e di modifica del Titolo V nell’assoluto silenzio di molti colleghi giuristi: tutto ciò mi stupisce.
Inoltre, ieri, Renzi ha detto: “dureremo fino al 2018”. Benissimo, ma continua a stupirmi il silenzio di alcuni nostri colleghi su questa prospettiva che sembra ignorare quanto meno la delegittimazione politica che questo Parlamento ha subito con la Sentenza n. 1/2014.
Il secondo punto, riguarda la complessa motivazione della Corte sulla ragionevolezza del premio di maggioranza. Il motivo formale era il conferimento del premio di maggioranza nel porcellum senza la preventiva soglia. […]