Il 26 marzo 2014 l’House of Commons Political and Constitutional Reform Committee ha pubblicato il rapporto The impact of Queen’s and Prince’s consent on the legislative process. Il documento prende in esame il consent, vale a dire il consenso espresso dalla regina o dal principe di Galles sui bills relativi alle prerogative regie, alle “hereditary revenues, personal property or personal interests of the Crown”, del Duchy of Lancaster o del Duchy of Cornwall, prima che tali disegni di legge vengano approvati dalle Camere. Come affermato da Robert Blackburn: “The substance of the Royal Consent is an agreement to the proposed legislation being considered and debated in each House of Parliament, not that the Queen or the Prince of Wales where applicable necessarily agrees or supports the content of the measures itself”. Il consenso deve essere tenuto distinto dall’assenso che viene, invece, espresso a conclusione dell’iter legis e permette alla legge di entrare in vigore.
La prassi relativa alla concessione del consent è la seguente: durante la redazione di un Govermnent Bill l’Office of the Parliamentary Counsel ha il compito di valutare se vi sia la necessità di chiedere il consenso regio. La decisione ultima è lasciata ai Clerks of Legislation di entrambe le Camere. Nel caso di un Private Members’ Bill il promotore del testo informa della necessità del consent il Clerk responsabile del progetto. In entrambi i casi la richiesta deve essere indirizzata da un ministro alla regina o al principe di Galles. La convenzione costituzionale relativa prevede che “the Sovereign must ultimately accept Ministerial advice” e che il consent venga espresso tra la seconda e la terza lettura.
Il Political and Constitutional Reform Committee ha deciso di aprire un’inchiesta sulla materia a seguito della pubblicazione – da parte del Cabinet Office, nel dicembre 2012 (e, poi, di nuovo nell’ottobre 2013) – del documento Queen’s or Prince’s Consent, redatto dall’Office of the Parliamentary Counsel, contenente le linee guida relative alla procedura di richiesta del consenso regio sulle leggi. Il Cabinet Office era stato costretto a rendere noto il documento, dopo aver perso una battaglia legale scaturita dalla richiesta, avanzata nel 2011 da John Kirkhope per la sua ricerca di dottorato ai sensi del Freedom of Information Act. Il Cabinet Office si era opposto invocando il legal privilege, ma nell’agosto 2012 l’Information Commissioner aveva imposto la pubblicazione del testo.
Il documento del Cabinet Office aveva fatto nascere un’accesa polemica da un canto perché aveva messo in luce che il concetto di “interests of the Crown” era stato interpretato in modo estensivo: non solo erano molti i bills su cui era stato espresso il royal consent, ma soprattutto tali disegni di legge non apparivano essere strettamente limitati agli interessi della Corona. Dall’altro era apparso che la convenzione del consent aveva comportato, in alcuni casi, una sorta di “royal veto”, avendo consentito alla regina di opporsi all’approvazione di una legge. In particolare, nel caso di un Private Members’ Bill, il Military Actions Against Iraq (Parliamentary Approval) Bill del 1999, che proponeva il trasferimento dal sovrano al Parlamento della prerogativa regia di dichiarare guerra, l’opposizione della regina aveva determinato il blocco del testo da parte dei Laburisti.
Il rapporto pubblicato dall’House of Commons Political and Constitutional Reform Committee appare di grande interesse. Esso ha cercato di fare chiarezza su diversi aspetti quali l’origine del consent, la natura della fonte e la giustificazione costituzionale di tale prassi, aspetti sui quali, in realtà, all’interno del comitato sono state espresse diverse opinioni. In relazione al primo punto è stato osservato che le radici del consent sono molto antiche (come affermato da Rodney Brazier: “My impression is that it is centuries old”), probabilmente risalenti alla regina Elisabetta. Questa opinione deve essere comunque valutata tenendo presente che all’epoca di Elisabetta I il rapporto sovrano parlamento era fondato su equilibri del tutto diversi da quelli attuali, mentre risulta che il primo caso certificato risalga a re Giorgio II il quale, nel febbraio 1728, espresse il suo consent sul Suppression of Piracy Bill. Per quanto riguarda, poi, il secondo aspetto, quello della fonte a cui risale tale potere, essa è stata indicata da alcuni nella prerogativa regia, da altri nella prassi parlamentare o nelle convenzioni costituzionali: per la maggioranza del Comitato comunque si tratta di una regola di procedura parlamentare e di conseguenza la sua eventuale modifica spetta alle Camere.
Per quanto riguarda, infine, il terzo aspetto, vale a dire la giustificazione costituzionale del consent, il comitato ha affermato: “The United Kingdom is a constitutional monarchy. The Queen has the right to be consulted, to advise and to warn. But beyond that she should have no role in the legislative process. Consent serves to remind us that Parliament has three elements—the House of Commons, the House of Lords, and the Queen-in-Parliament—and its existence could be regarded as a matter of courtesy between the three parts of Parliament. Whether this is a compelling justification for its continuance is a matter of opinion”. […]