L’anno elettorale del 2015 (elezioni presidenziali a maggio, legislative in ottobre) presenta aspetti sorprendenti. I risultati economici della Polonia, unico paese nell’Unione europea a 28 a uscire indenne da ogni forma di recessione, i sondaggi dell’opinione pubblica, non sembrano giustificare né prevedere un’ondata di malcontento popolare in grado di porre termine a otto anni di sostanziale predominio politico del partito in origine liberale, poi sempre più centrista e moderato, della Piattaforma civica.
Invece, all’improvviso, nella primavera dell’anno, emergono e si manifestano umori sempre più negativi dell’opinione pubblica. Favoriti dallo sdegno provocato dal contenuto non irreprensibile di alcune registrazioni e intercettazioni illegali effettuate ai danni di alcuni esponenti del principale partito di governo, e diffuse già dall’estate del 2014, ulteriormente surriscaldati da una campagna, più o meno spontanea, avviata sui social networks – da alcuni ritenuta una vera e propria campagna di odio, con l’anglicismo diffuso di hate speech ridotto e polonizzato allo scopo con il neologismo di hejt –, questi umori non si limitano a investire la Piattaforma civica ma sembrano a tratti lambire con essa, anche se in maniera non univoca, e confondersi con gli istituti fondamentali della democrazia liberale, acquisiti e consolidati in una lunga transizione che ebbe inizio con gli accordi della Tavola rotonda nei primi mesi del 1989. […]