Se si parte dalla tesi secondo la quale la presenza di un procedimento di revisione costituzionale costituisce la conferma (J. Bryce) e non il fondamento (A. V. Dicey) della “rigidità” delle costituzioni documentali – rigidità che pertanto consegue dalla superiorità della costituzione su tutti gli atti che compongono l’ordinamento e non dalla specialità del procedimento di revisione -, ne segue che la disciplina del procedimento di revisione costituzionale non può che essere prevista dalla costituzione stessa, esplicando, tale procedimento, la funzione di garantirne la rigidità (A. Posada, C. Mortati).
Il che, a mio parere avviene sotto un triplice aspetto.
In primo luogo, la previsione di un procedimento speciale di revisione costituzionale, formalmente diverso dal procedimento legislativo ordinario, evita, da un lato, i cambiamenti costituzionali troppo frequenti e, dall’altro, le modifiche imposte con la violenza qualora la costituzione non prevedesse la possibilità di modifiche .
In secondo luogo, limitandoci alle revisioni effettuate “in via legislativa” – secondo la saggia proposta di A. Barnave (1791) tesa ad evitare l’emersione, ad ogni piè sospinto, del potere costituente – deve essere sottolineato che la previsione, a tal fine, di un procedimento legislativo, solitamente aggravato con riferimento al quorum deliberativo e/o alla eventuale reiterazione della delibera, garantisce la relativa stabilità delle preesistenti regole scritte della costituzione: procedimento, che se da un lato non deve obliterare il principio democratico, esplicitamente recepito dall’art. 28 Cost. fr. 1793 (J. J. Rousseau, T. Paine), dall’altro non deve però essere assolutizzato, poiché in tal caso finirebbe per contraddire la stessa rigidità della Costituzione.
In terzo luogo, la previsione di un procedimento speciale, a partire dal secondo dopoguerra, incontra limiti materiali “assoluti” in nome di valori che si assumono “eterni” ovvero di principi giuridici espressamente indicati nelle stesse Costituzioni, (Cost. it., art. 139; GG, art. 79 comma 3; Cost. fr., art. 89, comma 5). Pur muovendosi in questa linea la Corte costituzionale italiana ha inoltre desunto, di volta in volta, dalla Costituzione, taluni “principi costituzionali supremi” (sentenze nn. 30 del 1971, 12 del 1972, 175 del 1973, 1 del 1977, 18 del 1972), dei quali, successivamente, la stessa Corte (con le sentenze nn. 1146 del 1988, 366 del 1991, 1 del 2014) ne ha espressamente affermato la immodificabilità.
Da queste tre premesse discendono almeno quattro rilievi. […]
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