Sarebbe impossibile oggi sottoscrivere la polemica nei confronti della teorica sia tedesca che italiana impegnata a sostenere la limitazione sostanziale, logica o tacita che sia, del potere di revisione costituzionale. Per quanto gli elementi di ordine positivo attorno ai quali ruotava quella disputa, con specifico riferimento alla nostra Costituzione, siano rimasti apparentemente invariati: a cominciare dalla esplicita sottrazione alla revisione esclusivamente della forma repubblicana dello Stato per di più avvalorata dalla riluttanza manifestatasi in sede costituente rispetto all’ipotesi di codificazione di ulteriori clausole di eternità, per arrivare alla labilità degli indici limitativi che di volta in volta si è pensato di aver reperito nel testo costituzionale, per finire con l’opinabilità anche dei limiti logici che sarebbero connaturati alla revisione costituzionale qualora si veda, fermandosi all’esteriorità, nella sua regolamentazione da parte dell’art. 138 Cost. prevalentemente, se non esclusivamente, una garanzia di ispessimento procedurale.
Un insieme di dati convergenti che, volendo insistere nel suffragare la teorica dei limiti sostanziali ancorché non codificati, avrebbero costretto se mai a fare appello ad un’ “altra” costituzione, ossia alla costituzione materialmente intesa e come tale presente ed operante sotto qualunque regime costituzionale, vale a dire indipendentemente dalla stessa alternativa rigidità/flessibilità. Quell’altra costituzione che vorrebbe alludere alla capacità interdittiva espressa dall’effettivo assetto politico sociale, la quale, per quanto fondata possa essere, dovrebbe restare ininfluente ai fini della declinazione giuridica della questione in esame, non fosse altro che in ragione della difficoltà di elevare alla dimensione precettiva un fattore di tipo sociologico necessariamente sottoposto alla condizione della convalida a posteriori.
In definitiva, muovendo da presupposti il più rigorosamente testualistici, il tema della revisione costituzionale non avrebbe potuto che ricadere nel campo dogmatico dell’abrogazione con i suoi consueti corollari; un campo dove alla forza abrogativa e modificativa della fonte costituzionale non sarebbe stato opponibile alcun ostacolo che non fosse avvalorato dall’obiettività letterale, neppure quello rappresentato dal procedimento aggravato così come disciplinato ai fini del suo legittimo esercizio: basti rammentare l’emergere, in qualche versione troppo consequenziale, persino della tesi della superabilità, sempre partendo dalla neutralità dell’attitudine abrogativa riconosciuta alla legge di grado costituzionale, dello stesso imperativo di immodificabilità derivante dalla lettura congiunta e convergente dell’art. 1 e dell’art. 139 della Costituzione. […]
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Di seguito si riporta il sommario del saggio: 1. Potere di revisione costituzionale, limiti testuali, e l’ipotesi della forza ostativa dell’ «altra» costituzione 2. Il potere di revisione tra potere costituente e potere costituito: qualità e quantità della linea distintiva 3. L’intangibilità dei principi/valori supremi come punto di equilibrio legale tra perennità e innovazione nell’esperienza costituzionale.