POLONIA, Jan Sawicki, Gli interrogativi circa la degenerazione in una ‘democrazia illiberale’

Le elezioni politiche del 25 ottobre 2015 costituiscono il corollario perfetto del nuovo assetto politico-istituzionale instauratosi in Polonia con le consultazioni presidenziali del precedente maggio. Dopo otto anni di opposizione la formazione di destra conservatrice, nazionale e ‘sociale’ “Diritto e giustizia” (PiS, Prawo i Sprawiedliwość) ottiene un successo al di là delle aspettative anche per il fatto di essere il primo partito che in oltre un quarto di secolo di democrazia sia riuscito a conseguire la maggioranza assoluta sia alla Dieta che al Senato, pur beneficiando a tal fine di un anomalo premio indiretto di seggi favorito da un’eccezionale dispersione dei voti andati alle restanti formazioni (e pur essendo le liste del PiS il frutto della formale coalizione del principale partito con un paio di ‘satelliti’). La circostanza che ha determinato tale esito è stata favorita dal fatto che oltre il 16% dei voti alla Dieta sono andati a liste che non hanno ottenuto un risultato sufficiente (5% nazionale per i partiti, 8% per le liste formate da coalizioni di più di un partito) a partecipare al riparto dei seggi. Il premio indiretto di cui ha beneficiato il partito vincitore, pari a oltre 13,5 punti percentuali di scarto tra i seggi e i voti, non ha precedenti fin dal 1993, ed è stato accentuato molto più dal fenomeno citato che dalla formula d’Hondt tradizionalmente adoperata, che in Polonia produce effetti limitati di compressione delle formazioni minori, data la relativa ampiezza delle circoscrizioni (11,2 seggi in media).

Insieme alla consacrazione per Diritto e giustizia si è consumata una sconfitta umiliante per la Piattaforma civica, il partito di centro moderato ed europeista che per qualche tempo era parso quasi affermarsi quale natural party of government dopo che era riuscito a conquistare un primato antecedente a quello del PiS: avendo ottenuto per due elezioni di seguito, nel 2007 e nel 2011, una vittoria netta con il mandato a governare (pur senza mai conseguire la maggioranza assoluta, a fronte di risultati migliori da quelli riportati ora dal PiS, in termini assoluti e percentuali). Gli anni della Piattaforma civica, sotto la guida del premier Donald Tusk in seguito salito alla presidenza del Consiglio europeo, furono anche confermati da ripetute vittorie nelle elezioni amministrative e in quelle europee e infine con le elezioni presidenziali anticipate di pochi mesi del 2010, vinte da Bronisław Komorowski. Ma proprio la sconfitta inattesa di quest’ultimo nella primavera del 2015 segnò l’apertura di quel cerchio che si è chiuso con le consultazioni parlamentari di ottobre, con una mutazione repentina e ancora difficilmente spiegabile degli umori nazionali in senso conservatore, nazionalista, gonfio di timori per le nuove sfide derivanti tra l’altro dalla condivisione a livello euro-comunitario degli oneri derivanti dalle migrazioni di massa e ostile alla riallocazione obbligatoria delle persone entrate nella UE (pur se gli impegni assunti in autunno dal governo di Ewa Kopacz dovrebbero essere mantenuti dal nuovo esecutivo).

Accanto al côté europeo (e forse anche internazionale) di questa nuova configurazione politica, ci sono anche ovvie ripercussioni strettamente nazionali. La prima di queste è quella che attiene alla tenuta della stessa Costituzione e delle istituzioni che sono deputate alla sua garanzia, in primo luogo il Tribunale costituzionale stesso. Gli antefatti, senza i quali non sarebbe possibile comprendere gli sviluppi di cui si discute, sono quelli già trattati sulle cronache pubblicate nel n. 3/2015 di Nomos – le attualità nel diritto. Gli sviluppi pienamente in corso sono quelli che fanno temere per la solidità delle istituzioni democratiche, la certezza del diritto e la divisione dei poteri, oltre che per il radicamento della Polonia nelle istituzioni euro-comunitarie cui ancora di recente è entrata a far parte con un successo complessivamente non trascurabile. La paralisi sostanziale del Tribunale costituzionale, operata o tentata sul finire del 2015 secondo modalità che non è facile stabilire quanto siano state propiziate da una casuale concatenazione di singoli fatti sfuggiti alle intenzioni dei singoli e quanto determinate da un disegno freddo e coerente fin dall’inizio, è l’evento che rischierà di far regredire la Costituzione al rango di una dichiarazione politica priva di effettivi contenuti giuridici, come essa fu ai tempi del socialismo fino al 1989, per di più soggetta alle buone intenzioni di una maggioranza e di un ceto politico che non vi si sono riconosciuti fin dal momento della sua entrata in vigore, nel 1997. […]

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