Multiculturalismo nell’era globale. Questo il tema del volume, a cura della Prof.ssa Eva Pföstl, presentato nel corso di una conferenza svoltasi presso l’Università La Sapienza il 26 marzo dello scorso anno alla presenza, oltre che degli autori e della stessa curatrice, del Segretario Generale del Centro Islamico d’Italia, Abdellah Redouane e del Presidente del Municipio Centro Storico della Capitale, Orlando Corsetti.
Sin dal titolo – certamente non originale, rievocando di fatto alla lettera il saggio dei Professori Franco Crespi e Roberto Segatori, dell’ Università di Perugia pubblicato nel 1996 – come pure dalla sua prefazione è subito chiaro quale sia l’ambizione, onesta, del libro in questione: proporsi non solo quale spunto riflessivo, ma anche come puntuale e sicuro approdo nel complesso ed agitato mare della odierna questione multiculturale che interessa tanto gli studiosi a vari livelli e sotto diversi profili, quanto gli ordinamenti giuridici a livello internazionale, come testimoniato dai contributi e del Prof. Maffettone e dello studioso cinese Baogang He, dei quali si discorrerà più avanti.
È la stessa curatrice, nell’introduzione, ad evidenziare quanto sia difficile in questo particolare momento storico-giuridico parlare di “approccio multiculturale”: soffocato dal fallimento contro terrorismo e fondamentalismo da un canto, e dissolto dall’eccesso di tolleranza, per non dire compiacenza, avverso chiare violazioni di diritti dall’altro, il multiculturalismo sarebbe oramai tramontato, almeno secondo quanto emerge dal giudizio critico in ambito europeo. Nonostante ciò, non ci son dubbi, secondo l’Autrice, sul fatto che l’idea stessa del multiculturalismo – inteso come differenziazione di alcuni diritti e doveri dei cittadini a seconda della loro appartenenza culturale – non solo è compatibile con i principi di fondo di un ordinamento liberal-democratico, ma rappresenterebbe il compimento stesso del liberalismo. Dunque, la domanda di fondo, alla quale si tenta di dare una risposta nel corso del volume, non sarebbe tanto se pronunciarsi a favore o contro il multiculturalismo, piuttosto –alla luce degli sviluppi socio-giuridici in corso – quale tipologia di multiculturalismo dovrebbe essere adottata da un dato ordinamento, sulla base delle evoluzioni e delle stratificazioni sociali e normative storicamente attraversate. Magistrale la prefazione, coincisa ma al contempo suggestiva e pungente, affidata ad uno dei più illustri esperti in materia, professore di filosofia politica presso l’Università di Kingston, Ottawa, ed autore di diversi saggi sul tema e sui diritti delle minoranze culturali, Will Kymlicka.
Il politologo canadese ripercorre l’arco temporale in cui, a partire dagli anni Sessanta ad oggi, si è assistiti ad un progressivo consolidamento del cd. profilo multiculturale in varie democrazie occidentali, termine questo che venne utilizzato per designare il complesso delle politiche indirizzate a favorire l’integrazione di gruppi di immigrati nel periodo post-bellico (è il caso della minoranza greca in Australia o di quella giamaicana in Inghilterra, ad esempio). Contemporaneamente, sempre in quell’epoca, si sono osservati nuovi esperimenti di adattamento alla diversità in relazione a gruppi minoritari presenti già su un dato territorio prima ancora della effettiva costituzione di un nuovo ordinamento (come le popolazioni aborigene del Canada e della Nuova Zelanda, in particolare). Numerosi altri casi sono emersi anche nel Vecchio Continente, come quello delle minoranze nazionali storiche presso entità sub-statali (si pensi ai Catalani in Spagna o i Fiamminghi in Belgio). Fino agli Anni Novanta, dunque, si è assistiti al costituirsi, negli ordinamenti occidentali, di un vasto movimento trasversale volto alla edificazione di nuove forme di cittadinanza al fine di arginare un sicuro fenomeno di esclusione delle minoranze etniche, linguistiche e razziali. Ma se fino ad un decennio fa questi esperimenti venivano considerati generalmente positivi rispetto alle passate politiche di esclusione e/o assimilazione coatta, con il violento irrompere nello scenario geopolitico internazionale di una nuova stagione terroristica, il multiculturalismo – sia a livello concettuale che come approccio alle diversità – è stato sempre più bersagliato dalle critiche, tanto che da più parti del mondo della ricerca si auspica la necessità di sviluppare un nuovo approccio post-multiculturale alla diversità. Lo studioso offre due chiavi di lettura, due possibili ragioni di un tale crescente disagio: la prima risiederebbe nella percezione di un inevitabile scontro fra civiltà; l’altra, strettamente connessa alla prima, riguarderebbe la questione della “sicurezza” all’interno di un dato ordinamento statuale. […]