Con la sentenza n. 1 del 2013, la Corte costituzionale si è pronunciata sulla controversa questione delle intercettazioni delle conversazioni telefoniche del Capo dello Stato, le quali avevano indotto il Presidente Napolitano a sollevare un conflitto tra poteri, nell’estate del 2012, avverso la Procura della Repubblica di Palermo che le aveva realizzate. I giudici costituzionali si sono espressi in favore del Quirinale, accogliendone il ricorso e dichiarando che non spettava alla Procura della Repubblica né valutare la rilevanza processuale delle intercettazioni che coinvolgevano il Capo dello Stato, operate nell’ambito del procedimento penale sulle c.d. trattative fra Stato e Cosa nostra, né omettere la richiesta di immediata distruzione della documentazione al giudice per le indagini preliminari, senza che la stessa fosse sottoposta al contraddittorio tra le parti e con modalità idonee ad assicurare la segretezza del contenuto delle conversazioni.
Alla luce della presente decisione, la Procura della Repubblica di Palermo dovrà ora richiedere al giudice per le indagini preliminari la distruzione immediata del materiale intercettato; non compete dunque al pubblico ministero provvedervi direttamente. Inoltre, la procedura da seguire non è quella prevista dagli artt. 268 e 269 del codice di procedura penale, in quanto essi prevedono che si fissi un’udienza camerale in cui i difensori delle diverse parti hanno facoltà di esaminare gli atti ed ascoltare le registrazioni; nel caso di specie, trova invece applicazione l’art. 271 del codice, in base al quale le registrazioni eseguite al di fuori dei casi stabiliti dalla legge devono essere immediatamente distrutte dal giudice. Infine, l’autorità giudiziaria dovrà farsi carico dell’esigenza che il materiale non sia in alcun modo divulgato: le intercettazioni in questione, infatti, non sono inutilizzabili per vizi di natura procedurale, caso nel quale si dovrebbe seguire l’ordinario procedimento con udienza camerale, ma per vizi sostanziali, dovuti alla violazione di un principio di tutela assoluta della segretezza delle comunicazioni del soggetto interessato. […]
Da una lettura delle motivazioni che accompagnano la decisione del giudice dei conflitti, in via preliminare non si può che esprimere un plauso per il rigore metodologico seguito: in primo luogo, perché la Corte giudica insufficiente l’attività ermeneutica che si limitasse ad una mera esegesi testuale delle disposizioni normative, siano esse di rango costituzionale ovvero ordinario, giacché è comunque ineludibile privilegiare canoni interpretativi di più ampia portata, che tengano conto dei principi costituzionali cui le altre norme si conformano e dai quali dedurre, nel caso di specie, il ruolo complessivo che il Capo dello Stato riveste all’interno dell’ordinamento costituzionale. In secondo luogo, poiché i giudici costituzionali stigmatizzano l’errata tendenza ad interpretare le norme costituzionali partendo dall’esame delle disposizioni di legge, mentre i principi di gerarchia delle fonti e di rigidità della Costituzione presuppongono che, in tutte le sedi giurisdizionali, le disposizioni di rango ordinario siano interpretate alla luce del dettato costituzionale e che giammai si operi inversamente, in modo da accordare ad ogni disposizione normativa il senso maggiormente aderente al quadro costituzionale. […]
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Di seguito si riporta il sommario del saggio: 1. Introduzione 2. Le motivazioni della pronuncia 3. Immunità della sede e tutela della riservatezza 4. Le intercettazioni «casuali» e il bilanciamento con altri valori costituzionali 5. La controversa questione degli atti extrafunzionali 6. Conclusioni: una pronuncia oscillante tra due visioni antitetiche