La giustizia domestica delle Camere, inizialmente pensata per garantire il libero esercizio delle funzioni delle Camere attraverso l’esclusione dei propri dipendenti dalla possibilità di adire la giurisdizione comune, si è progressivamente estesa alle controversie relative agli aspiranti alle carriere parlamentari e ai privati che forniscono beni e servizi ai due rami del Parlamento.
A giudizio di alcuni, il progressivo ampliamento dell’autodichia ha rappresentato un «inopinato salto di qualità» rispetto alla tradizione costituzionale, uno spostamento che sarebbe imputabile a una più generale volontà delle Camere di ampliare i propri margini di autonomia e indipendenza. Oltre che per queste ragioni, il tema dell’autodichia è oggi più che mai al centro del dibattito dottrinario, a seguito della nota sentenza n. 120 del 2014 e di due ordinanze con le quali la Corte ha ammesso il conflitto di attribuzione sollevato dalla Corte di Cassazione e dal Tribunale ordinario di Roma, nei confronti rispettivamente del Senato e della Camera che hanno dato nuova linfa ad una questione che sembrava ormai essersi “chiusa” con le affermazioni della Corte del 1985. In questo breve scritto si cercherà di indicare alcuni possibili esiti di questa vicenda processuale che promette importanti sviluppi in ordine alla giustizia domestica delle Camere. […]