Questo libro descrive in modo dettagliato l’impianto del federalismo fiscale italiano evidenziando i pregi e le difficoltà della riforma federalista dalle origini ad oggi. L’Autore procede in primis con un’ attenta analisi delle riforme costituzionali che hanno contribuito a definire l’attuale assetto federalista italiano: la riforma Bassanini, il successivo fallimento politico della bicamerale D’Alema, la devolution (approvata con pochi voti di scarto ma poi bocciata dagli italiani in un referendum confermativo), la riforma del Titolo V della Costituzione e, infine, la riforma del federalismo fiscale.
Quanto a quest’ultima, nella XVI legislatura (2008-2013) è stata finalmente approvata la riforma del federalismo fiscale, dando attuazione all’art. 119 della Costituzione, rimasto congelato per quasi dieci anni. Ciò è avvenuto grazie alla legge di delega n.42 del 2009 cui sono seguiti nove decreti legislativi approvati con un larghissimo e trasversale consenso (tranne uno, quello sul fisco municipale) da parte della Commissione parlamentare per l’attuazione del federalismo fiscale. I nove decreti attuati sono nell’ordine: federalismo demaniale; ordinamento transitorio di Roma capitale; determinazione dei costi e fabbisogni standard di comuni, città metropolitane e province; federalismo fiscale municipale; autonomia di entrata di regioni a statuto ordinario e province nonché determinazione di costi e fabbisogni standard nel settore sanitario; risorse aggiuntive e interventi speciali per la rimozione degli squilibri economici; armonizzazione dei sistemi contabili e dei bilanci delle regioni, degli enti locali e dei loro enti e organismi; meccanismi sanzionatori e premiali relativi a regioni, province e comuni; ulteriori disposizioni in materia di Roma capitale.
Grazie a questi decreti è stato innescato un importante processo di ristrutturazione della spesa pubblica italiana, attraverso il superamento del criterio della spesa storica, incentrato sulla formula “più spendi più prendi” (che finanziava servizi e inefficienza), a favore di un criterio più responsabilizzante che è quello dei costi e fabbisogni standard ( che finanzia solo i servizi). La storia dei tentativi di andare oltre il criterio della spesa storica è costellata di fallimenti, dovuti principalmente al fatto che si è sempre cercato di raggiungere una standardizzazione della spesa attraverso formule desunte dalla procedura econometria, sempre troppo rigide o troppo ampie e comunque non in grado di considerare il complesso sistema di governance nel settore.
Per evitare questi paradossi si è scelto di applicare al federalismo fiscale la metodologia elaborata con successo negli studi di settore. Di qui l’affidamento, con il D.lgs n. 216/2010, del processo di standardizzazione a SOSE in collaborazione con IFEL in qualità di partner scientifico. L’esistenza di un elevatissimo numero di variabili da considerare ha reso necessaria l’adozione di un metodo che si basa sulla preparazione di questionari, con cui vengono raccolti i dati contabili e strutturali del settore; la scelta della metodologia di stima econometrico-statistica più appropriata; la validazione dei risultati.
Il fabbisogno standard viene determinato con riferimento a ciascuna delle funzioni dei comuni e delle province che la legge statale qualifica come fondamentali sottolineando come eventuali economie realizzate dall’ente locale (che avesse una spesa effettiva inferiore rispetto al fabbisogno standard), siano acquisite al bilancio dell’ente stesso, che viene quindi premiato per la sua efficienza. Nel complesso la standardizzazione riguarderà un insieme di funzioni che raggiunge circa l’80% dei bilanci degli enti locali. Ogni passaggio si svolgerà con un processo di gradualità che garantirà l’entrata a regime nell’arco del triennio successivo: quando nel 2013 verranno applicati i primi fabbisogni standard, il finanziamento di ogni comune non sarà da subito portato interamente a quel livello, la spesa storica continuerà ad incidere ancora per due terzi nel 2013, per un terzo nel 2014, per essere definitivamente superata nel 2015. I fabbisogni standard, inoltre, si raccordano alla perequazione e quindi anche all’attuazione del principio di eguaglianza: anche un comune molto povero ( cioè con bassa capacità fiscale) deve ricevere le risorse necessarie a garantire le funzioni fondamentali, calcolate secondo i fabbisogni standard. I comuni, inoltre, dovranno pubblicare sui propri siti i fabbisogni standard, che metteranno in evidenza per le funzioni fondamentali la spesa efficiente e la spesa storica. Si stabilisce così una possibilità effettiva da parte dell’elettore di monitorare la spesa. Lo stesso vale per le regioni per le quali è previsto un finanziamento integrale delle spese essenziali, cioè delle spese necessarie a garantire i livelli essenziali delle prestazioni, che andranno calcolate con il criterio dei costi standard da associare ai Lep. […]