L’impianto dell’Unione Economica e Monetaria delineato dal Trattato di Maastricht nel 1992 e perfezionato dal Trattato di Amsterdam nel 1997 si fonda su opzioni ideologiche largamente influenzate dalle dottrine liberiste in voga a cavallo tra gli anni ’80 e ’90 del secolo passato che, per un verso, assumevano il mercato e la libera concorrenza come regolatori imparziali delle dinamiche economiche e, per altro verso, consideravano la stabilità dei prezzi, la lotta all’inflazione e il freno all’indebitamento pubblico come altrettante precondizioni per una crescita economica sana e virtuosa.
La coordinate e i principi della costituzione economica europea (le cd. quattro libertà) già codificati nell’Atto Unico del 1987 e rivolti essenzialmente ai soggetti privati (imprese e lavoratori) venivano dunque integrati dai cd. parametri di Maastricht che inquadravano le politiche fiscali in uno schema convenzionale ritenuto indispensabile a garantire la sostenibilità delle finanze pubbliche dei paesi membri della Comunità e fissavano il percorso di convergenza per approdare alla moneta unica.
Si completava, dunque, sul piano dei principi e delle prassi applicative il disegno di una costituzione fiscale europea che garantisse solidità alla nuova divisa e predisponesse gli strumenti istituzionali per il governo della moneta, riconducibili essenzialmente al Sistema Europeo delle Banche Centrali e alla Banca Centrale Europea, nuovo organismo indipendente e sovranazionale candidato a gestire in modo unitario e centralizzato la politica monetaria.
L’architettura istituzionale abbozzata faceva dunque perno sulla Banca Centrale nella convinzione illusoria che la cessione della sovranità monetaria da parte degli Stati sarebbe stata sufficiente a garantire dapprima il decollo e poi il consolidamento dell’Unione Economia e Monetaria e che quest’ultima avrebbe poi funzionato da volano per l’integrazione politica.
Le cose purtroppo hanno preso una piega diversa, complice la crisi dei mercati finanziari che, dopo aver investito il sistema bancario a partire dalla cd. anglosfera egemonizzata dalla divisa americana e in parte dalla sterlina, ha investito l’Eurozona, determinando l’impennata dei debiti sovrani e innescando un processo centrifugo di segno opposto rispetto alla ipotizzata convergenza delle economie e delle finanze pubbliche dei paesi che avevano adottato la moneta unica.
L’accentramento della politica monetaria non poteva ovviamente prescindere da una parziale condivisione tra gli Stati della sovranità economica e finanziaria tale da determinare una governance multilivello incentrata sul coordinamento delle politiche di bilancio. Questa opzione si è resa indispensabile quando, per rendere operative le soglie invalicabili poste al disavanzo e al debito pubblico dal Trattato di Maastricht, è stato adottato nel 1997 il Patto di Stabilità e Crescita. L’obbligo imposto agli Stati di contenere il deficit di bilancio su base annua entro il 3% del PIL e a non far lievitare il debito al di sopra del 60% del PIL richiedeva un articolato meccanismo di controllo non gerarchizzato (cd. sorveglianza multilaterale) che di fatto ha costituito il primo nucleo di governance economica della zona Euro. […]
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