Il presente del pensiero giuridico chiama a gran voce un recupero della complessità che caratterizza intrinsecamente la composizione armonica tra il caos dei fatti e il cosmo delle regole. Tale richiamo si origina in netto contrasto alla levigazione ideologica, operata soprattutto a partire dalla Rivoluzione francese e dalle successive esperienze europee di codificazione, la quale ha incastonato gli ordinamenti giuridici occidentali nel prisma ontologico della proprietà privata quale riflesso giuridico della conquistata libertà individuale. A fronte di tale fondazione della moderna cultura giuridica occidentale, l’Autore invoca un’uscita “dal monismo individualistico/proprietario” e dal “semplicismo di una esiziale geometria” (cit. pp. 1-2) verso un coevo ritorno al firmamento di formazioni collettive osservabili da secoli nel paesaggio giuridico nazionale.
“L’universo giuridico” (cit. p. 19) è una realtà contaminata dalla Storia, come tale multiforme e plurale; tale evidenza si staglia energicamente contro ciò che l’Autore definisce l’“assolutismo giuridico” del regime proprietario individuale: “si è colto nel segno”, afferma, “quando da taluno – puntualmente – si è identificato nel Codice civile il vero testo costituzionale, basilare, dello Stato borghese” (cit. p. 20). L’impostazione del ragionamento giuridico deve, cioè, necessariamente fare propria una concezione materialistica della storia del diritto (furono, d’altronde, in ambito filosofico, già Marx ed Engels, nel 1846, con La concezione materialistica della storia ad individuare lo Stato quale comunità illusoria, in quanto recidente il legame tra comunità e proprietà) al fine di recuperare l’equilibrio tra la collettività e l’ambiente giuridico che la circonda. In tal senso, il riconoscimento di vestigia ordinamentali, tuttora vive, quali regole, comunanze, società di antichi originari, partecipanze, domini collettivi, usi civici è incardinato nella struttura costituzionale repubblicana: “il messaggio della Costituzione parlava chiaro e netto: al posto di un individuo egocentrico si stagliava la persona quale creatura spiccatamente relazionale, pensata cioè in relazione stretta con gli altri, connotata di una intima socialità; il «sociale» e il «collettivo» sottratti alla rimozione del passato ordine borghese, mentre l’intera comunità risultava innervata da forti vincoli di solidarietà” (cit. p. 24). […]