Nell’autunno del 2020 si è aperta all’interno della Jugosfera una stagione segnata da un’attesa rifioritura della cooperazione regionale confermata dalla stipula di importanti e significativi accordi. A fare da cornice a questo nuovo quadro, apparentemente più armonioso, è il progetto della cosiddetta Piccola Schengen già in discussione in quasi tutti gli ordinamenti in esame dal 2017. In primo piano, però, c’è senza dubbio l’Accordo di normalizzazione economica firmato a Washington dal Presidente della Serbia Aleksandar Vučić e il Primo Ministro del Kosovo Advullah Hoti il 4 settembre (v. Serbia p. 10 e Serbia-Presidente p.30) alla presenza di Trump e del suo Consigliere e inviato per i Balcani Richard Grenell.
L’Accordo, essenzialmente di natura economica, avrebbe dovuto avere la funzione di apripista per avviare una nuova fase di negoziazione anche politica da portare avanti sotto l’egida di Bruxelles. Ma le questioni più delicate e l’acuirsi dell’emergenza da Coviv-19 hanno di fatto portato ad un punto fermo. Proseguono, invece, con successo i passi in avanti verso la creazione e l’ampliamento della Piccola Schengen. Al momento i paesi coinvolti sono Serbia, Macedonia del Nord e Albania come da accordi presi nel novembre del 2019 ad Ohrid ma la Bosnia si è detta pronta ad aderire. Nel mese di dicembre i Governi di Serbia e Albania hanno sottoposto con successo alle rispettive Assemblee il disegno di legge per permettere ai rispettivi cittadini di attraversare i confini tra i due Paesi senza controlli e transitare con la sola Carta d’identità. Questo è un primo passo verso la creazione di un’area che, sulla falsa riga della Schengen originale, dovrebbe consentire in tutta la regione il libero scambio di merci, servizi, persone e lavoratori. Si tratta di un’alternativa o forse di un’anticipazione all’entrata dei tre ordinamenti tra i Membri dell’UE. In questo periodo, poi, sono stati firmati anche altri accordi come quello tra Croazia e Bosnia del 29 settembre per la ricostruzione dei ponti e dei confini danneggiati durante le guerre degli anni Novanta. Questo avvicinamento non sembrerebbe, però, essere servito ad ammorbidire le posizioni croate nei confronti di un possibile veto all’annessione della Bosnia alla NATO. […]