Non occorre appellarsi a uno studioso autorevole come Leopoldo Elia per sapere che nei regimi parlamentari il governo o è il comitato direttivo del parlamento o ne è il comitato esecutivo. Mentre il poliedrico Walter Bagehot, nell’illustrare le istituzioni britanniche ai tempi della regina Vittoria, sosteneva che il governo è la commissione più autorevole del parlamento. Dando così per scontato che fosse il governo di Sua Maestà britannica a dare il là.
Tra i primi a porsi la questione è Cavour. E la risolve, manco a dirlo, pro domo sua. È in discussione il progetto di legge presentato dal governo per cui “Il Re Vittorio Emanuele II assume per sé e i suoi successori il titolo di Re d’Italia”. Nella tornata del senato del 26 febbraio 1861 il senatore Lorenzo Pareto dichiara che avrebbe desiderato che “non dall’iniziativa reale, ma piuttosto dalla iniziativa parlamentare l’acclamazione del Re fosse partita”.
Cavour replica: “Vi sono due sistemi che un Governo illuminato, liberale, desideroso di rimanere in armonia col popolo, può seguire: o aspettare che l’opinione pubblica si manifesti e che dopo essersi manifestata eserciti sopra il Governo una certa pressione per ispingerlo più in un senso che in un altro, per mostrargli la via che ha da seguire; oppure cercare d’indovinare gl’istinti della Nazione, determinare quali siano i veri suoi bisogni, ed in certo modo, spingere lui stesso; essere, in una parola, o rimorchiato, ovvero rimorchiatore”. E con legittimo orgoglio aggiunge: “Io non istituirò paragoni tra l’uno e l’altro, non discuterò i meriti rispettivi; dirò solo al Senato che dacché ho l’onore di far parte dei Consigli della Corona, ho sempre creduto di dover seguire il secondo; e mi pare gli eventi abbiano dato ragione a questa mia scelta”. […]
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