Il sistema sportivo italiano, negli ultimi anni, è stato al centro di importanti dibattiti che hanno evidenziato alcune serie criticità e una necessità di svecchiamento del settore più rispondente al contesto attuale. Tale processo, come noto, è iniziato nel 2019 con la L. 86, con la quale si delegava il Governo ad attualizzare la materia “sport” attraverso decreti di riforma da adottarsi entro 12 mesi dalla sua entrata in vigore. Questo slancio, mosso da consapevolezze oramai acquisite e non più solo dibattute, sembrava tuttavia destinato a cadere nel nulla o, quanto meno, relegato in secondo piano. Nessun cenno di manovre di riforma, infatti, è stato operato fino all’avvento della pandemia la quale, per lo sport è stata sia “croce” sia “delizia”.
“Delizia” perché, come si è avuto modo di osservare altrove, il necessario lockdown che ha provocato la sospensione di ogni attività sportiva (e non solo) ha fatto emergere con violenza e urgenza la situazione in cui versa(va)no gli operatori del settore non professionistico e dilettantistico, rimasti privi di sostentamento e di mezzi previdenziali adeguati. La pandemia quindi rinnovato la visibilità del settore sportivo e dato impulso a quello slancio del 2019 che era rimasto sopito, convincendo il legislatore a intervenire concretamente non soltanto sul fronte legato all’emergenza ma anche con provvedimenti di più ampio respiro e riformatori, appunto, di alcuni concetti, categorie e istituti del diritto sportivo.
“Croce” perché l’emergenza sanitaria ha, comunque, pregiudicato il settore dal momento che lo sport non può ricorrere facilmente, per natura, a metodologie alternative per il suo svolgimento. La crisi pandemica si è tradotta, per lo sport, in fortissima crisi economica che rischia di compromettere l’intera sopravvivenza del settore o di gran parte di questo.
“Delizia” perché i provvedimenti riformatori sono effettivamente arrivati e in gran numero, anche se con i ritardi legati al contesto pandemico, nei primi mesi del 2021.
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