In assenza di fatti interni di storica rilevanza, l’evento politico dominante in Polonia nell’inizio del 2014 è sicuramente il coinvolgimento del paese nel conflitto che ha luogo nella confinante Ucraina. Per ragioni storiche la Polonia sente un legame profondo con questo paese, e per questo, al momento della dissoluzione dell’Unione sovietica essa fu in prima linea nel riconoscerne l’indipendenza. Come per la Russia il controllo dell’Ucraina è un tassello essenziale per la ricostruzione di una prospettiva imperiale eurasiatica, così la Polonia considera la piena sovranità ucraina come un requisito irrinunciabile per consolidare il proprio definitivo affrancamento da quella prospettiva e al contrario radicare il proprio inserimento pieno in Europa.
È per questo che il periodo considerato contiene una sospensione breve e temporanea del tasso di dialettica faziosa e conflittuale di cui si è dato conto nelle precedenti cronache. Proprio in merito alle vicende ucraine, e in particolare alla riconquista militare di fatto della Crimea da parte della Russia, si è registrato un “attimo fuggente” di concordia, pur nella divergenza su questioni di dettaglio, in particolare per quanto attiene all’entità delle sanzioni economiche nei confronti della Russia di cui la Polonia dovrebbe farsi portatrice in sede europea (su questo aspetto l’opposizione di destra nazional-conservatrice, incarnata da Diritto e giustizia, promuove una linea più severa di quella del governo). Al culmine della rivolta ucraina di Maidan, in Parlamento questo idem sentire è stato osservato, mentre il ministro degli esteri Sikorski ha giocato un ruolo di primo piano, insieme ai capi delle diplomazie tedesca e francese, nelle trattative tra le autorità ucraine e i rivoltosi di Maidan. Un ruolo che però si è esaurito nel volgere di ore, con il precipitare di una situazione che è sfuggita di controllo a tutti i soggetti esteri coinvolti a diverso titolo nella crisi ucraina.
Ed è stata proprio tale crisi, con il profilarsi di una modifica di confini statali ottenuta con la forza, smentendo un sacro principio affermatosi in Europa fin dalla conclusione della seconda guerra mondiale, ad accendere alcune spie nella scena politica interna. Una di queste spie è la questione dell’euro. La Polonia, all’atto di aderire all’Unione europea nel 2004, si è vincolata a introdurre la valuta comune europea al momento in cui fosse stata in grado di soddisfare tutti i requisiti previsti per ogni aderente. Se in un primo momento l’opinione pubblica sembrava cautamente a favore della ‘moneta unica’, e il governo – Tusk in particolare – aveva elaborato una road map abbastanza stringente, la crisi economico-finanziaria globale che ha attanagliato in particolare l’eurozona a partire dal 2009 ha dirottato di molto gli orientamenti popolari, incidendo anche sulle scelte di governo e maggioranza parlamentare. Poiché la Polonia – pur senza soddisfare per intero tutti i parametri – ha retto finora bene alla crisi globale, rivelandosi l’unico Stato europeo a non avere subito neanche un anno di recessione, il relativo successo economico ha mutato la percezione interna ed esterna del paese, trasformandolo da ‘allievo’ sottoposto a una dura prova di esame in un soggetto che appare non (più) interessato a entrare a far parte di un club dal dubbio successo.
Ma le interferenze russe negli affari interni dell’Ucraina, e in particolare nelle scelte geo-strategiche di questo paese, hanno risvegliato antichi e atavici timori. Sia nel governatore della Banca centrale Belka, sia nelle parole di alcuni membri del governo, è allora riaffiorata l’idea che la prospettiva di un accesso della Polonia all’eurozona – specie nel momento in cui questa pare consolidarsi e lo stesso euro pare riaccreditarsi come scelta irreversibile – al di là di altre più o meno credibili garanzie di ordine militare, possa rendere evidente al mondo l’appartenenza definitiva del paese a un’area di democrazia e stabilità. Ma l’orientamento del governo in materia seguita ad essere oscillante e influenzabile da fattori di influenza interni ed esterni. Tra i primi vi è in particolare l’opposizione della destra di Diritto e giustizia, insieme all’ostacolo frapposto dalla necessità di modificare la Costituzione in diversi punti con le elevate maggioranze qualificate che questo impone. […]