E’ indubbio che l’ordinanza n. 18 dell’11 febbraio 2021, di autorimessione di questione di legittimità costituzionale, presenti diversi aspetti di interesse, come dimostra indirettamente il fatto che, nel giro di poche settimane dal deposito della motivazione, essa abbia dato luogo a pregevoli commenti dottrinali1. In questo piccolo lavoro cercherò di evidenziare qualcosa di nuovo, o almeno di parzialmente diverso, da quanto fin qui rilevato, al fine di contribuire, per quanto possibile, all’inquadramento delle questioni aperte -o ulteriormente complessificatesi- dall’intervento della Corte, e alle ipotesi di definizione dell’intera vicenda che gravita attorno all’attribuzione del cognome materno.
Come ampiamente noto, tale vicenda si è dipanata nel corso dei decenni2, trovando una qualche accelerazione nella giurisprudenza sia costituzionale che sovranazionale degli ultimi anni, ed in particolare una prima risposta da parte della nostra Corte poco più di quattro anni addietro, nel senso dell’accoglimento, e dunque della dichiarazione di illegittimità della norma individuata dal giudice rimettente, desumibile da un complesso di disposizioni che implicitamente la presuppongono, e che prevede(va) l’automatica attribuzione del solo cognome paterno (sentenza n. 286 del 21 dicembre 2016).
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SOMMARIO: 1. Una nuova (sorprendente) ‘puntata’ nella vicenda del cognome materno: l’ordinanza della Corte costituzionale n. 18 del 2021. – (segue): 1.1. Illegittimità costituzionale consequenziale versus autorimessione della questione ‘pregiudiziale’. – 2. ‘Dove eravamo rimasti’: l’incostituzionalità non dichiarata nel 2006 (con il sottostante, irrisolto quesito), l’intervento della Corte di Strasburgo e la dichiarazione di illegittimità del 2016, come tasselli preziosi di un ragionamento da completare. – 3. Ragionando più a fondo sulla ‘mossa’ dell’autorimessione: un’ipotesi di lettura dell’ordinanza, in attesa dell’esito della vicenda, tra mutamento di ruolo della Corte e ‘destino’ dei diritti in gioco.