«Qualche elemosina fatta ad un uomo nudo per le strade non basta ad adempiere gli obblighi dello Stato, il quale deve a tutti i cittadini la sussistenza assicurata, il nutrimento, un abbigliamento decente, e un genere di vita che non sia dannoso alla salute».
Era il 1748 quando Montesquieu, nel De l’esprit des lois, scriveva questo passo richiamando la necessità di «un processo legislativo fatto dall’uomo per l’uomo», che andasse oltre la dimensione puramente caritatevole, che si emancipasse dall’impostazione teleologica propria della tradizione cristiana, e desse luogo ad una costruzione laica della religiosa assistenza al prossimo. È questo il momento in cui – secondo Stefano Rodotà, del saggio in commento – la solidarietà si oggettivizza, si espande, traslando dalla sfera sociale a quella del diritto positivo. In una parola, il momento in cui si “giuridicizza”.
È evidente come l’autore, sin dalle prime pagine, intenda trasmettere al lettore il pensiero attorno al quale prende corpo il suo lavoro: il concetto di solidarietà come principio fondante, asse portante dell’intera struttura costituzionale moderna.
Sebbene il primo capitolo si apra con una domanda dai rimandi ‘amari’ – «Solidarietà come virtù dei tempi difficili o sentimento repubblicano?» – il giurista italiano non tarda ad evidenziare, come tale principio continui, di fatto, ad informare di sé l’azione sia dei singoli che delle pubbliche istituzioni, generando una tensione continua che ci ricorda l’irriducibilità del mondo alla sola logica di mercato. Infatti, pur se in crisi “effettuale”, la solidarietà e l’insieme dei valori che in questo termine sono racchiusi permangono nelle riflessioni politico-economiche, le “umanizzano”, imponendo di (ri)mettere i principi di cui si fa portatrice a guida dell’azione politica e sociale.
Sarebbe questa una delle «fatiche della democrazia» a cui fa riferimento l’autore. Ridare vigore al sentimento democratico, in tempi di crisi non solo economica ma valoriale, continuare a riconoscersi in esso attraverso i canali di un’azione solidale, che fa del rispetto del principio della fratellanza, dell’uguaglianza e della dignità umana il significato ultimo dell’apparato statale. Parafrasando Rosa Luxemburg, ci troveremmo di fronte all’alternativa «solidarietà o barbarie».
Nel ripercorrere significativamente l’evoluzione storico-concettuale della solidarietà, quale principio prima ancora di concetto, Rodotà ne fa emergere la progressiva, seppur lenta, assunzione di una valenza normativa e del compito di racchiudere in sé la delicata relazione che intercorre tra la sfera dei diritti e quella dei doveri.
Infatti, sebbene il 4 agosto 1789 l’Assemblea costituente francese fosse stata contraria alla stesura di una carta dei doveri, speculare a quella dei diritti, le moderne costituzioni prevedono, più o meno esplicitamente, un’interazione/integrazione tra diritti e doveri.
Rilevano così i doveri della nostra Repubblica, in tutte le sue articolazioni istituzionali e territoriali (artt. 114, 117, 118), in primis, nella sua più ampia accezione, per quanto riguarda la rimozione degli «ostacoli di ordine economico e sociale» (art. 3 Cost.); ovvero, nelle declinazioni più specifiche, nel garantire «cure gratuite agli indigenti» (art. 32), nell’istituire «scuole statali per tutti gli ordini e gradi» (art. 33), nell’assicurare il diritto ai «capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, di raggiungere i gradi più alti negli studi» (art. 34). Non mancano, inoltre, i doveri del singolo individuo che nel momento in cui svolge «secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione» deve concorrere «al progresso materiale o spirituale della società» (art. 4), ovvero adempiere al «diritto e dovere», da genitore, di «mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori dal matrimonio» (art. 30). Medesima intensità presenta il dovere di tutti i soggetti, pubblici e privati, nello svolgimento delle attività economiche, di garantire la sicurezza, la libertà e il rispetto della dignità umana (art. 41), anche attraverso una retribuzione che consenta «un’esistenza libera e dignitosa» (art. 36). L’autore parla di solidarietà intragenerazionale e intergenerazionale, che va da un sistema previdenziale al rispetto dell’ambiente, e i cui principi, opposti a quelli della logica di mercato, rimandano esclusivamente all’eguaglianza e al rispetto della dignità di ciascun individuo. […]