In un momento di generale arretramento dello Stato liberale costituzionale nei confronti di un populismo di certo non nuovo, ma mai così forte, la dottrina non può evitare di fare i conti con un necessario ripensamento del corpus filosofico giuridico della teoria dei diritti al fine di delinearne più accuratamente la natura ed i confini. È in quest’ottica che va analizzata l’opera di Roberto Bin, Critica della teoria dei diritti, FrancoAngeli, 2018, scritto accurato e non sempre semplice, in cui l’Autore procede ad un’attenta analisi degli aspetti centrali della teoria dei diritti, riuscendo in una interessante opera di scomposizione e ricostruzione.
Con un intento dichiaratamente critico, l’Autore comincia il suo ragionamento scagliandosi contro le classificazioni classiche dei diritti, e in particolare contro la distinzione tra libertà e diritti come due categorie separate, risalente alla rivendicazione del diritto al lavoro della rivoluzione francese del 1848. Utilizzando le parole di Giuliano Amato e della sua celebre monografia sulla libertà personale, Bin ribadisce che “per le libertà è necessario guardare non tanto ai contenuti, ma agli strumenti con cui vengono limitate; per i secondi (i diritti) è vero l’esatto opposto, in quanto la loro origine sta in pretese specifiche (sicurezza, salute, istruzione, etc.) a cui corrispondono specifiche prestazioni fornite dagli apparati pubblici” (p.10). Concentrando la propria critica specialmente sulle distinzioni tra diritti liberali e diritti sociali, diritti negativi e positivi e diritti che costano e che non costano, Bin afferma che le contrapposizioni tra diverse generazioni di diritti, “ sono contrapposizioni prive di alcuna forza analitica, fortemente intrise di ideologia” (p.10) e rilevanti solo in una prospettiva storica […]