Il collaboratore parlamentare è colei o colui che presta il proprio servizio intellettuale per lo svolgimento di specifiche mansioni all’interno delle segreterie dei singoli eletti e dei gruppi parlamentari. In via ricognitiva, paiono potersi individuare tre macro aree di competenza (legislativa, comunicazione, segreteria e rapporto con gli elettori) per ognuna delle quali sono richieste specifiche conoscenze e abilità, acquisite nel corso della carriera accademica e professionale, tali che non è possibile esimersi dal considerare i collaboratori parlamentari quali «“fusibili” del sistema: in assenza, la macchina politica si ferma». Questa è una delle evidenze che si traggono dall’indagine svolta dall’Istituto di ricerche sulla Pubblica Amministrazione (IRPA), nel recente rapporto 2014 dedicato al “Personale addetto alla politica” e curato da Hilde Caroli Casavola.
Interessante e coraggioso è certamente il proposito dell’Istituto fondato nel 2004 da Sabino Cassese e un gruppo di altri studiosi di diritto amministrativo di esaminare il fenomeno della proliferazione di questa specifica figura professionale ed i problemi che essa solleva. Categoria negletta e non a caso genericamente appellata dal connotato spregiativo “portaborse”, i collaboratori parlamentari sono infatti una parte di quegli “addetti alla politica” che risultano poco o per nulla studiati, nonché sfuggenti all’attività di rilevazione dei dati delle istituzioni pubbliche, sebbene invero esercitino competenze e assolvano funzioni diverse e di gran lunga più importanti di quelle attribuite loro nell’opinione comune, come lo stesso rapporto dimostra.
Al fine di comprendere quanti e chi sono i collaboratori di deputati e senatori, come vengono reclutati, cosa fanno, se e quanto sono retribuiti, si è scelto di effettuare un’indagine “sul campo”, svolta seguendo una duplice direzione: interviste mirate al target di operatori considerato e raccolta di dati attraverso la somministrazione di un questionario anonimo distribuito tra collaboratori di parlamentari a partire dall’ottobre 2013. Qui paradossalmente sta il limite e, insieme, il merito della ricerca dell’Irpa. Da un lato, il campione di quarantasette individui, fra intervistati e rispondenti al questionario online, potrebbe frustrare l’esito stesso dell’indagine per ristrettezza del campione stesso rispetto al dato – riportato anch’esso nel rapporto – secondo cui nel 2007 risultarono 683 collaboratori forniti di badge per l’accesso alla Camera dei deputati. Dall’altro, per superare i limiti della attività scientifica che si nutre oggi, assai più che in passato, della misurazione, della quantificazione e, spesso, della comparazione con fenomeni simili o con la dimensione del medesimo fenomeno in altri paesi e altri ordinamenti, il rapporto offre un contributo assolutamente inedito al dibattito pubblico, fornendo dati e analisi circostanziate del fenomeno della collaborazione parlamentare, non disgiunti dall’esame del contesto entro il quale esso si è realizzato, delle sue origini e dei suoi sviluppi, degli effetti, delle soluzioni adottate e, nei casi di più evidente disfunzione, delle possibili azioni correttive.
Dunque, se le interviste mirate e la raccolta di dati attraverso la somministrazione di un questionario potrebbero celare esisti statistici notevolmente differenti laddove fosse possibile estendere maggiormente il campione di riferimento, allo stesso tempo l’indagine – denunciandola – tenta di superare una delle problematiche principali legate al tema delle collaborazioni parlamentari ovverosia la mancanza di strumenti di conoscenza da parte della collettività. Ai cittadini è infatti negato qualsiasi tipo di informazione, quantificazione e controllo circa le caratteristiche della collaborazione parlamentare, le modalità di svolgimento degli incarichi e l’inquadramento giuridico dei relativi rapporti di lavoro. E tale circostanza si rivela tanto più grave quanto si considera che il fenomeno attiene allo svolgimento di attività e compiti essenziali alle dinamiche della rappresentanza democratica, tra l’altro finanziati con denaro pubblico in un periodo in cui la parola d’ordine nelle Assemblee legislative è spending review e difficoltosa, oltreché politicamente “scottante”, è la sua concreta declinazione nei provvedimenti normativi. […]