L’alba dell’emergenza scaturita dalla diffusione del COVID-19 è stata adombrata dalla grande assenza dell’Unione Europea. Nei primi giorni di crisi italiana i provvedimenti e la gestione dell’emergenza sono stati lasciati in mano ai singoli Governi che hanno optato per progressive e spesso aggressive misure di restrizione della libertà di circolazione e movimento. I confini dell’Europa sono divenuti ad un tratto pericolosamente discontinui e mutevoli quasi riproducendo il puzzle medioevale. Per i cittadini europei – peggio ancora se italiani – e globalizzati l’imposizione di controlli, il ripristino dei confini e spesso i respingimenti o l’obbligo di quarantena hanno costituito un rilevante fattore di incertezza, una privazione quasi sospetta di quei diritti sulla cui base la stessa Unione dovrebbe essersi fondata.
In Italia la graduale chiusura obbligatoria delle varie attività ha visto spegnersi sempre più rapidamente la lanterna della ripresa economica senza che nessun segnale venisse lanciato da oltralpe. Si tratta, però di un destino che hanno iniziato a condividere senza rilevanti differenze anche Austria, Francia, Germania e Spagna segnalando preoccupanti allarmi già nei primi giorni di marzo. Al diffondersi della crisi, gli Stati Membri hanno sollecitato Bruxelles ad intervenire soprattutto per sostenere i propri sistemi economici. La pandemia è stata accettata come un problema non più di responsabilità e gestione interna bensì di natura transfrontaliera e poliedrica. La risposta europea è arrivata il 2 marzo dalla Presidente della Commissione Ursula von der Leyen la quale ha proposto l’istituzione del Coronavirus Response Team formato da Paolo Gentiloni, Commissario europeo all’economia, Janez Lenarcic, […]