Con l’adozione della moneta unica, l’Unione ha scelto, oltre a dare un valore comune al progetto europeo, anche di fotografare la situazione, politica, finanziaria e sociale dei singoli paesi che ne entravano a far parte e di legarli a tale valore.
La situazione economica dei singoli paesi, seppure accomunata e protetta dall’Euro, mostrava differenze strutturali in ragione: delle diverse specializzazioni produttive, degli indici economici, ed in particolare dell’indebitamento pubblico; induceva i mercati finanziari, quali naturali regolatori del sistema; bensì, prima, a finanziare i paesi economicamente più deboli – ma con una forte percezione di inflazione – per poi stringere i cordoni della borsa.
Le “radici culturali” della crisi finanziaria – innescata dalla bolla immobiliare statunitense, dallo sviluppo dei cosiddetti prodotti derivati e dalle forti interconnessioni che caratterizzano i moderni sistemi finanziari e economici – sarebbero rinvenibili “in una impostazione teorica che ha favorito il laissez-faire non regolamentato”.
A causa di tale crisi, si sono verificati aumenti dei tassi di interesse accordati per l’acquisto dei titoli di debito pubblico nazionali soltanto in alcuni paesi dell’area Euro, accumunata da un mercato interno e da un’unica moneta, questo ha provocato shock finanziari ed economici asimmetrici nell’area.
Al contrario di quanto accaduto in passato, in cui la crisi sanzionava anche il tasso di cambio delle singole monete – con un inflazione spesso superiore all’indice di crescita del Pil – il valore dell’Euro è rimasto sostanzialmente stabile.
Quando la crisi ha afflitto anche le economie più floride, come quella italiana – ma con squilibri economici, quali l’elevato debito pubblico, la perdita di competitività esterna, e la crescita debole della produttività – l’aumento del tasso di interesse sul debito e degli oneri fiscali sulla produttività ha provocato un circolo vizioso.
Le cause economiche del problema, però, appaiono legate all’indice di “fiducia” che i mercati e la società civile ripongono nelle istituzioni e nella ripresa; tale indice, infatti, sembra condizionare l’economia più degli indicatori macroeconomici.
Per rispondere al gap istituzionale emerso veniva presentata relazione, “Verso una autentica Unione economica e monetaria” in cui veniva indicata, “una prospettiva per il futuro dell’Unione” e tracciato il percorso di riforme necessarie per affrontare le crisi finanziarie e gli shock economici asimmetrici.
La solidità del pilastro economico e monetario, infatti, è necessaria per il Parlamento Europeo per raggiungere gli obiettivi della “crescita equilibrata e sostenibile”, di un “elevato livello di occupazione” della “inclusione sociale” e della solidarietà”.
Su tali presupposti il Consiglio Europeo ha tracciato un disegno per un nuovo intervento integrato europeo, nei principali quadri economici: finanziario (compreso quello bancario), di bilancio e di politica economica; da attuarsi nel rispetto dei principi di legittimità e responsabilità democratica del processo decisionale dell’UEM; di trasparenza nei confronti degli Stati Membri che non aderiscono alla moneta unica; di integrità del mercato unico.
Il dibatto europeo sul contenuto dei quadri di intervento è stato avviato dal c.d. blueprint, il piano elaborato dalla Commissione.
Le proposte delle istituzioni sono poi confluite in una “tabella di marcia”, articolata in tre fasi temporali. […]
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Di seguito si riporta il sommario del saggio: 1. Dall’Euro al fiscal compact, brevi cenni storico istituzionali 2. La BCE e l’uso di strumenti non convenzionali di politica monetaria 3. Il Patto di stabilità e crescita, rafforzato e il c.d. fiscal compact 4. Conclusioni