Se si volge lo sguardo alla produzione scientifica in ambito costituzionalistico degli ultimi anni non può passare inosservata la mole di studi e ricerche che hanno ad oggetto il tema dell’indebitamento. Recante traccia di un confronto più risalente – che ha affrontato temi come il concetto di “Costituzione economica”, il significato dell’art. 81 Cost., l’interpretazione della clausola dell’equilibrio finanziario, la distinzione tra legge di bilancio e legge finanziaria, le sentenze additive di spesa, i costi dello stato sociale e, più precisamente, la natura dei diritti sociali, ma anche, per un verso, le trasformazioni impresse dal diritto dell’Unione europea al sistema economico italiano e, per altro, la conformazione dello stato regionale, l’autonomia finanziaria e il federalismo fiscale – l’attuale fase del dibattito scientifico in materia sembra sempre più espressione di un processo di progressiva trasformazione complessiva dei caratteri originari dello stato costituzionale del Novecento.
In estrema sintesi, in un primo tempo, il rapporto tra leggi di spesa e principio di copertura e, in seguito, lo strumento della legge finanziaria hanno rappresentato il principale oggetto di studio. A cavallo degli anni ottanta e novanta, quando il debito pubblico si impose come tema e come problema, è stata la Corte costituzionale che, dopo il dibattito sollevatosi sulle c.d. sentenze additive di spesa, cominciò a ripensare la tutela dei diritti sociali sulla falsariga della dottrina dei diritti costituzionali finanziariamente condizionati, valorizzando nei bilanciamenti le ragioni dell’equilibrio del bilancio. E poi sarebbero stati gli eventi legati all’entrata in vigore del Trattato di Maastricht e all’ingresso dell’Italia nell’Unione economica e monetaria che avrebbero senza dubbio accelerato la presa di coscienza del debito pubblico come problema di rilievo costituzionale, sia con riferimento all’indebitamento accumulato sia in relazione all’ammontare annuo del disavanzo.
Oggi, in uno scenario complessivo in cui è inevitabile dedurre conseguenze normative dal testo costituzionale modificato con la legge cost. n. 1 del 2012 e in cui vengono messe in discussione le fondamenta stesse della forma di stato novecentesca attraverso il ripensamento del compromesso alla base dello stato sociale, solo per alcuni esempi con riferimento al dibattito italiano, vi è stato chi ha inquadrato l’impatto della riforma studiandola in particolare attraverso la lente degli assetti istituzionali tra Parlamento e Governo, chi ha denunciato il rischio che incombe sulla tenuta dei diritti in ragione delle trasformazioni costituzionali innescate dalla retorica della crisi, altri che hanno messo in rilievo le potenzialità di una «concezione irenica» del nuovo scenario sugli equilibri del costituzionalismo e sulla conformazione dello stato, altri ancora che si sono concentrati sulle trasformazioni del regionalismo o sulle prospettive del processo di integrazione europea e la natura stessa dell’Unione europea e, infine, vi sono stati Autori che hanno cercato di individuare a livello interpretativo nuove pretese costituzionalmente necessarie o che più in generale si sono focalizzati sulle conseguenze della “crisi”.
Davvero utili appaiono, dunque, quei contributi che indagano il significato giuridico di termini che sempre più frequentemente, specialmente per il tramite della giustizia costituzionale ma anche in virtù delle pressioni del diritto europeo in senso ampio, vengono veicolati dal mondo dell’economia nell’ambito del diritto costituzionale impattando su e alterando i precedenti assetti. E ciò vale in particolare per concetti come quelli di equilibrio, stabilità e di sostenibilità che sempre più vanno assumendo un rilievo giuridico preminente, attirando così l’attenzione della comunità scientifica. […]