FRANCIA, Paola Piciacchia, Costituzionalizzazione dello stato di urgenza e decadenza della nazionalità: due nodi irrisolti tra tensioni della politica e riforma del lavoro

È stato tutto rivolto ai temi della politica interna (sia pure con lo sguardo fermamente puntato sulle questioni internazionali) il primo quadrimestre 2016 in Francia. Una politica in cui si sono intrecciate le tensioni interne ai partiti, legate al dibattito relativo alla costituzionalizzazione dello stato di urgenza e della decadenza sulla nazionalità ma anche quelle sociali (e politiche insieme), legate alla presentazione e all’avvio dell’esame del progetto di legge sul mercato lavoro presentato dal Governo Valls.

Sul progetto di legge « Protection de la Nation » si è giocata, ad inizio d’anno, la partita più grande tra le forze politiche. Il persistente disaccordo tra i fautori della riforma ed i detrattori della stessa (all’interno della medesima maggioranza di governo), ed in particolare l’insanabile contrasto tra i due rami del Parlamento, Assemblea Nazionale e Senato, retti oggi da due maggioranze differenti (nel 2014, dopo tre anni, il Senato è tornato ad essere a maggioranza di destra), hanno condotto a fine marzo il Presidente Hollande a dichiarare chiuso il dibattito parlamentare sul progetto di revisione sullo stato di urgenza e sulla decadenza della nazionalità.

Il progetto di revisione costituzionale di « Protection de la Nation », – che, lo ricordiamo, era stato presentato il 23 dicembre 2015, dopo l’annuncio dato dal Presidente Hollande al Congresso del Parlamento, riunito a Versailles il 16 novembre 2015, due giorni dopo gli attentati di Parigi del 13 novembre, facendo appello all’unione delle forze politiche – prevede due articoli, il primo relativo alla costituzionalizzazione dello stato di urgenza, e, l’altro relativo alla decadenza della nazionalità.

Il testo aveva presentato sin dall’inizio delle criticità. Dei due articoli, l’articolo 2, che nel testo iniziale permetteva la decadenza della nazionalità per i nati francesi in possesso di doppia nazionalità, in caso di crimini che costituiscono un grave attentato alla vita della Nazione, aveva portato ad un’aspra battaglia parlamentare sulla questione della binazionalità perché comportava evidenti aporie connesse alla violazione del principio di uguaglianza. Il Governo era così intervenuto, per venire incontro alle richieste del PS che non voleva l’introduzione del concetto di binazionalità in Costituzione, in prima lettura all’Assemblea Nazionale, presentando un emendamento, approvato il 28 gennaio, con il quale aveva soppresso il riferimento alla binazionalità concernente la decadenza della nazionalità. Il testo, in prima lettura, era stato infine approvato il 10 febbraio, ma solo grazie ai voti dell’opposizione, che aveva garantito il raggiungimento di 317 voti favorevoli.

Proprio in occasione del voto finale all’Assemblea Nazionale si era consumato però un grande strappo all’interno della maggioranza parlamentare di governo, già da mesi attraversata da gravi contrasti interni, dove ben 119 deputati socialisti, quasi la metà del gruppo, si sono rifiutati di approvare il testo. Allo strappo socialista all’Assemblea Nazionale si è poi sommato il contrasto con il Senato che in prima lettura aveva, non solo modificato quanto deciso dall’Assemblea Nazionale riguardo all’art. 1, ma anche nuovamente modificato l’art. 2 sulla decadenza della nazionalità reintroducendo come unici destinatari i possessori di doppia nazionalità, condannati definitivamente per un crimine che costituisce un grave attentato alla vita della Nazione. […]

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