Ad un anno dall’ascesa di Emmanuel Macron all’Eliseo, più che il bilancio sull’attuazione del programma elettorale (la cui realizzazione ha continuato in questi mesi a “marcher” a ritmo serrato), ciò che si impone è la riflessione sul modo in cui il Presidente ha incarnato la carica di Capo dello Stato e sull’impatto che il suo esercizio del potere ha avuto ed è destinato ad avere sugli equilibri istituzionali. Nonostante l’apertura di continui cantieri attraverso i quali il Presidente con il suo Governo ha perseguito l’obiettivo di attuare il programma con cui aveva vinto le elezioni lo scorso anno per realizzare così le promesse fatte in campagna elettorale – questione che non ha certo sollevato dubbi sull’efficienza del nuovo Esecutivo francese – è un dato che la popolarità del Presidente in questi mesi abbia continuato ad oscillare. E che quest’ultima si sia offuscata rispetto al largo consenso iniziale – sebbene non allo stesso livello del suo predecessore – nel giro di un anno è cosa ormai nota stando non solo ai sondaggi che lo hanno visto – a tratti – in consistente calo, ma stando anche al persistente fronte di contestazione interna sollevato dai numerosi scioperi e manifestazioni di piazza contro le riforme da lui avviate, soprattutto in materia di riforma del lavoro e del dialogo sociale.
La riforma del lavoro e la nuova normativa sulla contrattazione collettiva in particolare hanno suscitato una forte reazione dei sindacati che continuano ad avere in Francia un forte impatto sull’opinione pubblica. Le reazioni alle riforme di Macron sembrano, infatti, aver contribuito a far emergere la contraddizione più grande tra il popolo che non pare riconoscersi nelle scelte del nuovo Presidente e le élites che invece appaiono rispecchiarsi in questa nuova idea di sinistra che, al contrario, non riesce ad avere appeal sul tradizionale elettorato di sinistra. […]