Il turno di elezioni amministrative previsto per il 5 giugno 2016, interessante sotto vari profili dal punto di vista politico e politologico, offre spunti di analisi e riflessione anche sul piano giuridico; tra questi, merita di essere considerata con attenzione la presenza di liste dichiaratamente radicali nelle consultazioni relative a Milano e Roma.
Si tratta di un evento significativo – sebbene non certo “nuovo” – per almeno due ordini di motivi. Da una parte, negli ultimi due anni la presenza elettorale dei radicali in Italia (con proprie liste, chiaramente identificabili e magari contenenti l’aggettivo «radical*») è apparsa ridotta rispetto al passato, per cui la partecipazione al prossimo turno elettorale nelle due città maggiori d’Italia acquista un certo peso; dall’altro lato, è innegabile come quell’area politica stia vivendo un periodo decisamente delicato e complesso – segnato tra l’altro dalle precarie condizioni di salute del leader storico Giacinto Marco Pannella – nel quale la visibilità scarseggia, anche per l’assenza – dal 2013 – di rappresentanti radicali in Parlamento e, per giunta, non sembra registrarsi un’unità di intenti all’interno del gruppo dirigente e degli stessi militanti, quanto all’azione politica (ed eventualmente elettorale) a breve e medio termine. Lo stesso emblema scelto per queste elezioni, del resto, denota una discontinuità grafica non trascurabile: ciò, secondo alcuni, a fronte di una continuità ideale almeno parziale, potrebbe essere segno di un “cambio di passo” che vada al di là delle soluzioni visive adottate.
Il tentativo di comprendere meglio cosa stia accadendo nell’area radicale dà l’occasione, a chi studia le forme (giuridiche e organizzative) dell’offerta politico-elettorale, di tentare di ripercorrere gli strumenti associativi con cui i militanti hanno agito e si sono proposti agli elettori. Il lavoro non è semplice: il quadro si è oggettivamente complicato negli ultimi trent’anni e talvolta l’accesso a documenti scritti e “ufficiali” si è rivelato difficile o impossibile, diventando necessario riferirsi anche a testimonianze orali, non sempre di prima mano. La ricostruzione che seguirà, dunque, non ha pretese di completezza o di esattezza: si tratta semplicemente di un tentativo di mettere ordine alle notizie e al materiale disponibile, per dare a tutto ciò un inquadramento giuridico corretto o, per lo meno, plausibile. […]
Il Partito radicale (d’ora in poi anche Pr), come formazione politica che per anni è stata in prima linea nelle battaglie per i diritti civili, ha assunto la sua conformazione più nota agli italiani nella seconda metà degli anni ’60, avendo come punto di svolta il III congresso straordinario del partito (Bologna, 12-14 maggio 1967). Quell’assise, in particolare, vide l’approvazione del nuovo statuto, imperniato su alcuni elementi chiave, come la struttura federale – articolata in partiti regionali, con finalità e ordinamenti democratici del tutto autonomi, ai quali partecipano le associazioni radicali locali – l’iscrizione al soggetto politico senza che ciò comportasse per l’aderente o per l’eletto il rispetto di alcuna disciplina di partito e men che meno prevedesse l’irrogazione di sanzioni (cosa che consentì, tra l’altro, la contemporanea iscrizione a un altro soggetto politico, il cd. istituto della “doppia tessera”), i congressi a cadenza annuale per eleggere tra l’altro segretario e tesoriere, l’autofinanziamento da parte dei militanti e la pubblicità dei bilanci. […]
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