Il Tribunale costituzionale federale il 27 gennaio 2015 [1 BvR 471/10, 1 BvR 1181/10] si è pronunciato sul ricorso individuale di un’ex insegnante di fede islamica, licenziata perché aveva rifiutato di scoprire il capo e il collo, in ottemperanza ai dettami del suo credo religioso.
Alla donna, che prestava servizio in una scuola della Renania settentrionale – Vestfalia, le autorità scolastiche avevano chiesto di non indossare il velo in classe, e di rispettare così il divieto di esporre simboli religiosi a scuola imposto al corpo docente da una norma legge regionale approvata nel 2006 [Schulgesetz für das Land Nordrhein-Westfalen (Schulgesetz NRW – SchulG)].
L’art. 57, quarto comma della Legge regionale sulla scuola vieta infatti agli insegnanti di mostrare simboli esteriori che manifestino una determinata posizione politica, religiosa, ovvero una particolare concezione del mondo, “che siano idonei a minacciare o turbare la neutralità del Land nei confronti degli studenti e dei genitori, ovvero l’armonia scolastica con riguardo alla politica, alla religione, alla concezione del mondo” e prosegue affermando che “in particolare, risulta inammissibile un comportamento esteriore che possa suscitare negli studenti o nei genitori l’impressione che un insegnante sia schierato contro i principi della dignità dell’uomo, dell’eguaglianza ai sensi dell’art. 3 della Legge Fondamentale, dei diritti fondamentali di libertà, ovvero contro l’ordinamento democratico e liberale”, introducendo poi una fondamentale distinzione tra i diversi credo religiosi, laddove si precisa che “lo svolgimento dell’incarico formativo ai sensi degli artt. 7 e 12, sesto comma della Costituzione della Renania settentrionale – Vestfalia e la corrispondente illustrazione dei valori educativi e culturali della cristianità e della tradizione occidentale europea non sono in contrasto con l’obbligo di comportamento sancito dal primo comma. L’obbligo di neutralità sancito dal primo comma non si applica per l’insegnamento della religione e nelle scuole confessionali”.
L’insegnante si era allora presentata a lavoro con un berretto rosa e un maglione a collo alto per coprirsi comunque il capo ed il collo, rifiutandosi di toglierli. La vicenda si era conclusa con il suo licenziamento. La donna si era successivamente rivolta al Tribunale del lavoro, che però non aveva accolto l’istanza. In questa maniera si è aperta la strada per un ricorso al Tribunale costituzionale federale. Il I Senato si è pronunciato con sei voti a favore e due opinioni dissenzienti, espresse dai giudici Wilhelm Schluckebier e Monika Hermanns.
La pronuncia, come è inevitabile, si fonda su una delicatissima operazione di bilanciamento tra valori e principi. Essa chiarisce la portata del diritto alla libertà di fede, inteso sia in senso positivo, come diritto a vivere la propria fede e a manifestare le proprie convinzioni religiose, sia in senso negativo, come diritto degli studenti a non subire condizionamenti nella formazione della propria coscienza e spiritualità (art. 4, primo e secondo comma LF), ma, in questo caso, non ricomprende, se non in misura liminale, il diritto dei genitori all’educazione dei figli (art. 6, secondo comma LF), perché pone invece l’accento sulla discriminazione nell’accesso al pubblico impiego nella scuola nei confronti di quelle donne che, per motivi religiosi, non potrebbero accettare di togliere il velo, e che si vedrebbero pertanto costrette a rinunciare al lavoro di insegnante.
Si afferma dunque una concezione “plurale” della laicità dello stato, intesa come tolleranza rispetto alle diverse latitudini della spiritualità, e paradigma di un pluralismo culturale che deve apparire anche agli occhi dei giovani studenti come sincera espressione della complessità del mondo.
Il velo viene dunque concepito come espressione della propria identità personale, e pertanto come una scelta coessenziale al libero sviluppo della personalità – che però non può sottrarsi ad una operazione di bilanciamento con i diritti altrui e resta soggetto al limite dell’ordinamento costituzionale e della legge morale – e alla tutela della dignità umana sanciti dai primi due articoli della Legge Fondamentale, e non può frapporsi come ostacolo all’esercizio del diritto alla libera scelta della professione sancito dall’art. 12, primo comma LF. […]