Siccome ormai da alcuni anni la materia del diritto tributario è sempre più evidentemente uno dei punti nodali del nostro tempo, e uno dei settori della normazione positiva per i quali vi è maggiormente bisogno di un riordino, se si vuole davvero che l’Italia possa competere ad armi pari con i principali partner europei, non si può che essere lieti della pubblicazione del libro di Alessandro Giovannini “Il diritto tributario per principi”. Esso verrà considerato, riguardato, nelle pagine seguenti, dapprima come libro giuridico, poi come libro di diritto tributario e infine come opera in cui si riflettono alcuni problemi della nostra epoca che assumono rilievo per il diritto.
Il contenuto del libro è esattamente descritto dal suo titolo: si tratta, cioè, di una trattazione tendenzialmente completa del diritto tributario, non di singole parti pur importanti o importantissime. Per questa ragione, il libro si configura come una premessa all’analisi delle norme di diritto tributario e agli orientamenti della giurisprudenza, a volte condivisi, a volte criticati dall’A. L’aver scelto l’angolo visuale dei principi consente, cioè, all’A. di illustrare le principali partizioni (nella prima parte, la capacità contributiva, la fattispecie e il presupposto impositivo, la soggettività tributaria all’obbligazione d’imposta, le sanzioni; nella seconda parte, la tassazione delle attività commerciali, dei proventi illeciti, dei costi), di esporre le varie teorie, di proporre soluzioni per una serie di questioni, vecchie e nuove.
Da quanto appena osservato si può agevolmente comprendere perché il libro di Giovannini non appartenga al genere letterario delle monografie. Non lo è per la vocazione generale di cui si è appena detto. Non lo è neppure per la genesi: come l’A. rivela nella prima pagina della Premessa: «è un insieme di scritti monografici e appunti dalle lezioni su temi selezionati». Il libro non è neppure un manuale, per via del metodo seguito, che è più di tipo problematico che di tipo espositivo. Il genere letterario cui forse si approssima di più è quello del précis, cioè l’analisi di un insieme di istituti, con esposizione obiettiva delle principali tesi, ciò che non è in contraddizione con l’indicazione delle posizioni personali dell’A.
Poiché, come l’A. ha sollecitudine di precisare nella Premessa, i temi prescelti sono «analizzati con un metodo comune, che si rifà ai principi e in particolare a quelli di rango costituzionale ed a quelli generali dell’ordinamento» (p. 1), ciò che spiega l’attenzione dedicata alla riflessione dei giuristi, soprattutto dei costituzionalisti, sui principi. Fare riferimento ai principi implica, però, aprire un primo ordine di questioni, vale a dire cosa l’A. intenda per “principi”. Mi sembra utile, a tal fine, un confronto con due tra le opere più note nell’ambito del diritto amministrativo: i “Principi di diritto amministrativo” di Vittorio Emanuele Orlando e quelli di Giovanni Miele. I Principi di Orlando hanno una storia a sé: pubblicati alla fine del XIX secolo, hanno avuto un’edizione (“interamente rifatta”) nel 1952; hanno, dunque, descritto il diritto amministrativo nel passaggio dallo Stato censitario a quello democratico, dal periodo fascista alla Costituzione del 1948; soprattutto, quei Principi sono valsi ad avviare e consolidare la costituzione, su più solide basi scientifiche, della scienza del diritto pubblico italiano. Lo scopo veniva raggiunto tramite la fissazione, “in un prospetto dogmaticamente sicuro della scienza anziché un insieme di controversie e di dubbi”. Si trattava, quindi, di principi giuridici ordinati in un sistema. Come osservò Giannini nel recensire l’edizione del 1952, ognuno era libero di “ridiscutere l’esattezza della soluzione nel quadro dello stesso sistema” (Rivista trimestrale di diritto pubblico, 1953, p. 147). Era all’interno di quel sistema che vennero formulati i “Principi di diritto amministrativo” di Miele, la cui seconda edizione (la prima era del 1945) venne pubblicata nel 1953. Essa includeva non solo una parte sulle nozioni generali, ma anche una sulle fonti, di cui non vi è più traccia nei manuali editi nei decenni successivi. Seguiva la trattazione dell’attività e degli atti, esaminati in rapporto alla validità e all’efficacia. Mi sono dilungato nel dare conto di queste opere meno recenti, ma fondamentali per comprendere i percorsi della scienza del diritto pubblico italiano, per sottolineare che la prospettiva in cui si colloca Giovannini è del tutto diversa: è quella dei principi di diritto positivo, “espressi o inespressi” (p. 5). Se ciò rifletta l’assai diversa fase della scienza o del diritto positivo, segnatamente nella materia del diritto tributario, è una questione su cui sarebbe interessante conoscere l’opinione degli specialisti. […]