Il quadrimestre considerato è necessariamente dedicato, in massima parte, alla gestione della situazione sanitaria connessa al Covid-19. Per ragioni di contiguità geografica, nonché una radicata tradizione di scambi di persone e merci con il continente asiatico, il Giappone è stato investito sin dagli esordi del Nuovo Coronavirus dagli interrogativi politici – tout court – ad esso collegati. Almeno nel periodo gennaio-aprile 2020, in via preliminare, è lecito osservare in Giappone una evoluzione di tipo “cinese” delle conseguenze effettive, sotto il profilo sanitario, del Covid-19, abbracciando ogni precauzione possibile sotto un duplice punto di vista: da un lato nei confronti di un fenomeno nuovo, le cui dinamiche restano per lo più sconosciute; dall’altro lato rispetto al limite intrinseco di un metodo analitico che fotografa la risposta di un ordinamento in un periodo temporale dagli estremi definiti.
Inoltre tale valutazione prescinde da una considerazione di tipo infettivologico che evidentemente esula dagli scopi del presente scritto, e ci si riferisce alla adombrata eventualità che il ceppo di Covid-19 che ha investito il Giappone sia sensibilmente meno aggressivo, in termini sia di contagiosità che di letalità, rispetto al virus diffusosi in Europa. Può essere utile fornire alcune coordinate quantitative, ancorché minimali, per orientare la reazioni dell’ordinamento giapponese, secondo parametri divenuti ormai ricorrenti nella discussione pubblica. Al 30 aprile, estremo temporale più recente per la riflessione, i casi cumulativi accertati di Covid-19 in Giappone sono circa 14.000. L’oscillazione del dato esatto è dovuta alla fonte che si preferisce adottare, che può escludere dal computo i guariti, i deceduti od i cosiddetti malati importati dall’estero. V. al riguardo le discrepanze fra la più prudente […]