La vocazione accademica di Aldo Moro fu quella del penalista ma la sua passione fu senza dubbio la filosofia del diritto, materia insegnata per incarico dal 1940-41 al 1963, quando lasciò l’Università di Bari per la Sapienza di Roma. Una passione, quella per la filosofia del diritto, destinata a influenzare inevitabilmente anche il suo approccio al diritto penale, centrato come fu sulle «questioni di carattere generale», ovvero sui «principi fondamentali della materia». Un recensore dalla penna affilata denunciò a questo proposito l’«eccessiva tendenza all’astrattezza» di Moro. Quest’ultima però risultò, se ci fu, sempre bilanciata da una costante attenzione alla persona e allo Stato. Ogni costruzione giuridica trovava vitalità, ma anche valore e significato, nel continuo raffronto con i bisogni della società. Fu anche in ragione di questo approccio, nettamente distinto da quello della maggior parte dei suoi colleghi penalisti, che Moro si trovò più a suo agio a insegnare diritto penale in una facoltà di Scienze politiche piuttosto che in una facoltà di Giurisprudenza. Aveva ben presente cosa significasse insegnare diritto penale a una platea di laureandi e laureande destinati a svolgere le professioni di avvocato e magistrato, la loro necessità in particolare di una preparazione rivolta soprattutto all’«interpretazione delle norme riguardanti modalità, tempi e cadenze del processo», ovvero ai «poteri, iniziative e provvedimenti degli attori che gestiscono le diverse parti». […]
Giorgio Caravale, Dalla Facoltà di Scienze politiche della Sapienza a Palazzo Chigi, andata e ritorno. Aldo Moro tra Univerisità e politica
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