Il recente dibattito sulla riforma costituzionale Renzi – Boschi è stato caratterizzato da una particolare attenzione dedicata, soprattutto da studiosi ed esponenti politici appartenenti al c.d. “fronte del no”, al procedimento con cui la riforma stessa è stata approvata. Si è in particolare sostenuto che il procedimento non sarebbe stato conforme al modello ideato dai Costituenti, che avrebbero congegnato un meccanismo caratterizzato da un necessario coinvolgimento delle minoranze nella revisione della Costituzione, ed a maggior ragione per revisioni di ampia portata, per le quali sarebbe necessario (o quantomeno preferibile) il ricorso alla maggioranza qualificata dei due terzi. La tesi che sarà sottoposta a revisione critica in questa sede è pertanto, senza pretesa di esaustività, quella che postula una presunta volontà del Costituente di imporre un voto a maggioranza qualificata da parte dell’Assemblea sulle leggi di revisione dal contenuto complesso.
L’articolo 138 della Costituzione repubblicana, collocato nel Titolo VI (“Garanzie costituzionali”), e più precisamente nella Sezione seconda, rubricata “Revisione della Costituzione. Leggi costituzionali”, dispone che le leggi di revisione della Costituzione e le altre leggi costituzionali sono adottate da ciascuna Camera con due successive deliberazioni ad intervallo non minore di tre mesi, e sono approvate a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera nella seconda votazione. Dette leggi sono sottoposte a referendum popolare quando entro tre mesi dalla loro pubblicazione ne facciano domanda un quinto dei membri di una Camera o cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali: la legge sottoposta a referendum non è promulgata se non è approvata dalla maggioranza dei voti validi. L’ultimo comma dell’articolo 138 dispone infine che non si fa luogo a referendum se la legge è stata approvata nella seconda votazione da ciascuna delle Camere a maggioranza di due terzi dei suoi componenti1. […]